L'intervento
Ecco perché bisogna fare la riforma dell’abuso d’ufficio

Il Governo ha, nei giorni scorsi, approvato il decreto Semplificazione che prevede, tra l’altro, un’ulteriore (dopo quella del 1997) riforma del reato di abuso d’ufficio, con l’obiettivo di definire in maniera maggiormente chiara e precisa gli ambiti di responsabilità penale dei funzionari pubblici e degli amministratori. La necessità di intervenire sul delitto previsto e punito dall’articolo 323 del codice penale era da tempo particolarmente avvertita, e sollecitata dalla dottrina più sensibile, poiché la precedente novella del 1997 non aveva risolto i dubbi sull’ampiezza delle condotte incriminabili. La complessità e l’indeterminatezza della fattispecie hanno, nel frattempo, inesorabilmente ostacolato il funzionamento della macchina amministrativa. La fuga dal potere di firma dell’amministratore o del dirigente pubblico è, infatti, espressione di un atteggiamento difensivo, che può incidere negativamente sull’attività amministrativa, costringendola all’impasse e compromettendone l’efficienza.
Il timore di decidere, il pendolo della scelta tra più soluzioni contrastanti nella ricerca della migliore delle soluzioni possibili, è anche il riflesso speculare delle fughe in avanti di chi, ritenendosi danneggiato dalle scelte degli attori della scena amministrativa, denunzi ipotetici reati, talvolta per consumare vendette fondate su presunti torti subiti. Ne consegue che si assiste a una indiscriminata fuga dall’assunzione di responsabilità, cui si accompagna la moltiplicazione di adempimenti burocratici superflui, pur di mettersi al riparo dai rigori di un’ indagine penale. Le statistiche attuali evidenziano che dell’enorme quantità di procedimenti penali avviati per abuso d’ufficio solo una limitatissima percentuale si conclude con una sentenza definitiva di condanna. Non si tratta solo di una questione di spreco di risorse giudiziarie, ma piuttosto di gravissimi e spesso irreparabili contraccolpi sul piano reputazionale.
Sino a quando il procedimento è pendente, il pubblico amministratore, in violazione della presunzione costituzionale di non colpevolezza, diviene vittima di una gogna mediatica giustizialista e dovrà sopportare il discredito sociale causato dalla divulgazione della mera notizia di una indagine a suo carico. Nessuna rilevanza avrà, poi, un’eventuale demolizione in giudizio della tesi accusatoria, perché nell’immediato l’inchiesta avrà già conseguito effetti devastanti sul piano personale, ma anche sull’ordinario dispiegarsi dell’attività istituzionale, paralizzata dalla psicosi dell’abuso. Le molteplici inchieste per reati contro la pubblica amministrazione hanno generato un sospetto permanente sulle istituzioni, allontanando i civil servants dall’assunzione di responsabilità pubbliche. Chi accetterebbe, al giorno d’oggi, di amministrare la cosa pubblica nella consapevolezza che l’assunzione di tale onere comporta, in default, il rischio di indagini che, troppo spesso, si concludono con un nulla di fatto? Da qui la necessità, di riformare l’abuso di ufficio per (provare a) calibrare al meglio il perimetro della responsabilità del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio, nel tentativo di restituire serenità a chi opera nell’amministrazione pubblica con il perenne rischio di essere sottoposto ad indagini.
Il progetto del Governo è senza dubbio ambizioso e mira a far recuperare alla politica e all’amministrazione della cosa pubblica quel primato che, a partire quantomeno dagli anni ’90 del secolo scorso, è stato messo fortemente in discussione dallo straripamento del potere (o, più correttamente, dell’ordine) giudiziario. Ecco che il legislatore ha inteso creare un nuovo complesso di norme idonee a incentivare e a favorire condotte dinamiche dei pubblici amministratori, ponendo termine – almeno questo è l’auspicio – alla “stagione dell’immobilismo”. In tema di abuso di ufficio, l’innovazione principale è rappresentata dal riconoscimento dell’insindacabilità (più o meno totale) in sede giudiziaria delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione; scelte discrezionali che costituiscono, come è evidente, il tratto caratteristico e peculiare attraverso il quale è esercitata la funzione politica ed amministrativa.
Si è, inoltre, sfrondato di indeterminatezza il precetto, restringendo il campo della punibilità, facendosi riferimento all’inosservanza di condotte specifiche, previste dalle sole fonti normative primarie. Non vi è dubbio, però, che anche l’attuale formulazione potrebbe non scongiurare del tutto i rischi di iscrizioni affrettate e forzate a carico di pubblici amministratori e, allora, ci sarebbe da chiedersi se sia ancora necessaria, nella complessità che caratterizza le scelte amministrative, una figura di reato quale quella dell’abuso di ufficio, visto il pericolo di incriminazioni dai confini molto incerti.
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