Appena ucciso, hanno subito cominciato ad assassinarlo di nuovo con palate di parole altisonanti e retoriche sul “servitore dello Stato che ci è stato strappato con la violenza”. Retorica che serve solo a nascondere l’unico fatto importante: l’ambasciatore Attanasio non sarebbe caduto nella trappola mortale in cui è caduto senza che il nostro ministero degli Esteri ne portasse la responsabilità. Quando l’amministrazione Obama fu colpita dalla sciagura dell’uccisione del console americano a Bengasi, in Libia, l’11 settembre 2012, emerse subito la responsabilità oggettiva – e dunque la colpa – del ministro degli Esteri degli Stati Uniti Hillary Clinton, la quale ammise: “Sono io la responsabile di tutto ciò che accade ai 60.000 diplomatici americani sparsi in 516 posti diversi del mondo”.
Il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio, invece, non sarebbe responsabile di altro che del suo stupore per la notizia della tragedia che è piombata non soltanto a Roma, ma a Ginevra dove risiedono gli uffici delle Nazioni Unite e a Bruxelles. Si è così saputo che il più giovane ambasciatore italiano, Luca Attanasio di 43 anni, andava in giro con un convoglio dell’Onu nella zona del nord est del Congo infestata da bande armate (la stessa in cui i Rangers inviati dal governo belga hanno perso in cinque anni 200 dei 700 loro effettivi decimati dall’Esercito di liberazione del Rwanda che imperversa con violenze saccheggi e stupri) senza avere l’autorizzazione della Farnesina a Roma. Questo non è possibile. I movimenti del nostro personale diplomatico nel mondo, specialmente nelle zone comunque a rischio, sono regolati da protocolli e coordinati dal ministero che concede o nega le autorizzazioni, con il compito di monitorare e proteggere tutte le situazioni a rischio.
Si sa che l’ambasciatore Attanasio viaggiava senza scorta, che gli era stata negata all’ultimo momento dal governo di Kinshasa e senza un’auto blindata, che aveva richiesto e che gli era stata promessa “fra qualche giorno”. Oggi si viene a sapere che le forze governative sarebbero intervenute dopo l’attacco al convoglio dell’Onu – di cui facevano parte Attanasio e il povero carabiniere Vittorio Iacovacci – ingaggiando un conflitto a fuoco. Lo scopo dell’attacco armato sembra fosse quello di catturare ostaggi delle Nazioni unite, ma questi dettagli saranno chiariti nelle inchieste sul terreno congolese. Noi chiediamo solo di sapere come sono andate le cose dentro la Farnesina, responsabile di tutto ciò che accade alle ambasciate e ai diplomatici di ogni rango insieme agli uomini dei servizi segreti nelle ambasciate.
Attanasio era il più giovane ambasciatore italiano. Aveva un’aria allegra e positiva, e insieme a sua moglie gestiva persino una propria organizzazione a favore dei bambini. Malgrado tanta generosa attività, tutto ciò che è accaduto era prevedibile. La questione che oggi è degna di attenzione prima di tutto del presidente del consiglio Draghi è la valutazione delle responsabilità del ministro. Qui i casi sono due: o esiste un protocollo che stabilisce se come e quando il personale delle ambasciate può avventurarsi in zone ad altissimo rischio, o un tale protocollo manca del tutto. Sta al presidente del Consiglio Mario Draghi valutare se intende mantenere al suo posto un ministro degli esteri che si è rivelato ignaro e stupefatto di fronte a un delitto avvenuto nelle circostanze dettagliatamente documentate dai nostri servizi di intelligence.
Saranno i congolesi, le Nazioni Unite e se vorrà la stessa Unione europea a compiere le indagini sul terreno. Ma noi abbiamo il dovere e il diritto di sapere se e come è tutelata la diplomazia italiana nelle zone di guerra, guerriglia, scontri etnici e tribali. Vogliamo sapere se come quando l’ambasciatore Attanasio ha comunicato i suoi propositi e movimenti e se tali comunicazioni sono state approvate. Un capo della diplomazia non può farsi ammazzare i diplomatici mentre è altrove e del tutto ignaro delle attività svolte da un diplomatico. Questa tragedia deve avere conseguenze.