I motivi della protesta
Ecco perché ho iniziato lo sciopero della fame: o si svuotano le celle o sarà una sentenza di morte
Oltre 100 detenuti della casa circondariale di Novara mi mandano “per conoscenza” una lettera che hanno indirizzato alla direzione del carcere, al magistrato di sorveglianza e al provveditorato regionale. Preannunciano lo sciopero di tutti i lavoranti e la battitura due volte al giorno. Manifestano la loro disperazione e delusione per i provvedimenti varati dal Governo per fronteggiare il Covid-19 nelle carceri: «È l’ennesima presa in giro da parte delle istituzioni, un decreto ridicolo (il decreto Ristori, ndr) che se usciranno mille detenuti, è dire tanto. Noi abbiamo sbagliato ed è giusto che paghiamo per i nostri errori, ma non è giusto che paghino i familiari, bambini compresi. In poche parole, ci sono morti dappertutto perché siamo in piena pandemia globale, ma i nostri diritti vengono ancora una volta calpestati. In questo momento così delicato pensiamo che sarebbe opportuno approvare un’amnistia e un indulto per “smaltire” le carceri: cosa aspettano, che ci scappino i morti?».
Poco fiduciosi nell’ascolto da parte dei destinatari, concludono: «Altro che reinserimento sociale e rieducazione comportamentale, cercate di mettervi una mano sulla coscienza e vergognatevi che sono più di otto mesi che non riabbracciamo più i nostri cari e, per tantissimi di noi, non sappiamo se li riabbracceremo di nuovo.” Comprendo lo sconforto di questi detenuti perché i numeri che circolano sul dilagare della pandemia negli istituti penitenziari sono davvero impressionanti: gli ultimi, aggiornati a tre giorni fa, ci dicono che i casi positivi tra i detenuti sono arrivati a 537 e fra gli operatori, agenti compresi, a 737. A fornirceli sono i sindacati di polizia penitenziaria, anche loro fortemente preoccupati. Quasi 1.300 contagiati, infatti, per quanto posti in quarantena (e per i detenuti gli spazi di isolamento sono del tutto inadeguati causa sovraffollamento), sono una fonte formidabile di propagazione del virus. Parentesi: qualcuno al DAP è in grado di motivare il fatto che i dati ufficiali siano forniti in modo esclusivo alle rappresentanze sindacali e non a tutti i cittadini?
Tornando ai detenuti di Novara e al loro sciopero, vorrei che si riflettesse sul fatto che per un detenuto rinunciare al lavoro significa non avere a disposizione quelle poche decine di euro mensili che gli consentono di poter acquistare beni essenziali per la vita quotidiana, beni spesso da condividere con i meno fortunati, visto che in carcere lavora non più del 25% dei reclusi. Martedì scorso a Radio Radicale/Radio Carcere, Riccardo Arena ha ricordato gli ultimi due suicidi per impiccagione: il 7 novembre a Verona è morto in cella di isolamento un detenuto maliano di soli 23 anni, mentre a Ivrea il 9 novembre scorso si è tolto la vita un detenuto rumeno di 39 anni, anche lui in isolamento precauzionale perché febbricitante da alcuni giorni. In questo 2020 ben 51 detenuti hanno volontariamente posto fine alla loro vita; altri 79, invece, sono deceduti per malattia o per cause ancora da accertare.
Non si possono contare, invece, le telefonate da parte di familiari disperati perché hanno parenti stretti detenuti affetti da gravissime patologie. Sanno queste mogli, queste madri, questi figli che se il loro congiunto fosse contagiato gli rimarrebbero ben poche chance di sopravvivenza. L’ultimo caso è quello di una figlia che ha il padre diabetico e cardiopatico grave recluso al Lorusso-Cotugno di Torino e positivo al Covid. La ragazza ha in mano un documento del responsabile sanitario del carcere indirizzato alla direzione e alla ASL in cui si fa presente l’urgenza di avvisare l’Autorità Giudiziaria sui rischi che corre non solo il detenuto ma anche la “sicurezza sanitaria” del penitenziario. Ebbene, in una settimana, nulla si è mosso e questo padre continua a permanere febbricitante e spossato in cella di isolamento, “curato” (si fa per dire) con due tachipirine al giorno. È tremendamente vero ciò che diceva Marco Pannella: in Italia non c’è la pena di morte ma è certamente in vigore la “morte per pena”.
Sono quelle scritte in queste righe le ragioni del mio sciopero della fame iniziato la notte del 10 novembre. Governo e Parlamento hanno tutti gli strumenti di legge (alcuni dei quali predisposti dal Partito Radicale e da Nessuno Tocchi Caino) per diminuire drasticamente la popolazione detenuta. Non farlo equivarrebbe a sentenze di morte che un sistema democratico aderente ai principi costituzionali non può essere in grado di sopportare.
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