Economia e demografia, l’evoluzione dei Brics che fa paura al mondo

Russian President Vladimir Putin, center, and South African President Cyril Ramaphosa laugh during a family photo ceremony prior to Outreach/BRICS Plus format session at BRICS Summit in Kazan, Russia, Thursday, Oct. 24, 2024. (Maxim Shipenkov, Pool Photo via AP)

Il principale obiettivo dei Brics è quello di distaccarsi dall’attuale modello “usa-centrico dominato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Sul fronte economico, una delle proposte più rilevanti è la creazione di un sistema di pagamento alternativo al dollaro statunitense fondato sull’uso delle valute nazionali nelle transazioni tra i paesi membri. Inoltre, il rafforzamento della cooperazione nell’affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico, la sicurezza energetica e il rafforzamento delle catene di approvvigionamento, che sono state gravemente danneggiate dalla pandemia e dai conflitti internazionali.

La sfida geopolitica

Le mosse messe in campo in termini di sfida geopolitica, e che interessano senza dubbio molti dei paesi non occidentali, sono del tutto evidenti. E gli obiettivi strategici emergono con chiarezza. Anche per i partner attuali e per quelli che con molta probabilità potranno essere interessati a diventarlo pur senza condividere l’approccio ideologico fortemente antioccidentale della Russia. Il tema centrale è l’indebolimento dell’egemonia occidentale ed in particolare statunitense che ha caratterizzato lo sviluppo del mondo in maniera particolare nell’ultimo secolo. E che ha consentito al dollaro di fare quello che Tobin, premio Nobel dell’economia, ha sempre criticato: è, cioè, la moneta di riserva dell’intera economia mondiale.

Ma oltre ad elemento di volontà politica cosa c’è, nell’evoluzione della struttura del mondo, che spinge e aiuta il movimento dei Brics a puntare su questo obiettivo di fondo. Quali sono gli elementi strutturali che rendono credibile e fondata questa politica? Due in particolare. L’evoluzione dell’economia e l’evoluzione demografica. Sul peso e l’evoluzione demografica è presto detto. Mettendo a confronto Brics e Occidente, con un’accezione valida a livello generale, oggi si confronta una popolazione di circa 3 miliardi e mezzo di abitanti contro circa 800 milioni. In termini evolutivi si può rilevare che l’incremento al 2050, cioè fra poco meno di trenta anni, si attesterà per i Brics intorno al 10% mentre per l’Occidente non si andrà oltre il 3%. Appare chiaro il forte differenziale di crescita fra le due aree nonostante i pur rilevanti movimenti migratori.

Il Rapporto Goldman Sachs

Sull’evoluzione economica ci aiuta il Rapporto Goldman Sachs sulla crescita mondiale al 2075. Ebbene, oggi a fronte di circa 90 trilioni di dollari di pil mondiale l’Occidente ne realizza circa 42 di cui circa la metà ad opera degli Usa. I paesi Brics ne realizzano circa 22 con la Cina in testa con quasi 16. Il livello di pil pro capite è ancora distante fra i due mondi in maniera sensibile. Siamo a poco più di 6 mila dollari dei Brics rispetto agli oltre 52 mila dollari dell’Occidente. Nel 2050 la situazione è destinata a subire un forte cambiamento in termini di volumi produttivi. Il pil dell’Occidente realizzerà un valore intorno ai 70 trilioni di dollari mentre quello dei Brics avrà raggiunto quota 79 trilioni. Il sorpasso ci sarà sia in termini di “aree concorrenti” sia in termini di paesi trainanti in quanto il pil degli Usa si attesterà sui 37 trilioni a fronte dei 42 della Cina.

Un nuovo modello di governance

È ovvio che le due “società” saranno ancora differenziate in termini di ricchezza e benessere delle popolazioni, in quanto il Pil pro capite sarà ancora distante fra le due aree a vantaggio dell’Occidente con 83 mila dollari rispetto a 21 mila dei Brics. Ma il peso economico delle due aree sarà del tutto commensurabile. Ed è su quel volume che i Brics potranno fondare un nuovo modello di governance economica globale. A fronte di queste tendenze in atto, che nell’arco di trenta anni potranno vedere anche cambiamenti ad oggi non prevedibili, l’Occidente ha due strade di risposta strategica da utilizzare per non far corrispondere la diminuzione del proprio peso economico globale con il declino del proprio ruolo.

La prima riguarda la politica. Quante più azioni verranno realizzate per cercare di bloccare la convergenza globale da parte dei paesi meno sviluppati verso livelli più adeguati in termini di sviluppo e di benessere della popolazione quanto più il ruolo dell’Occidente verrà interpretato in termini negativi. L’Occidente può difendere il proprio ruolo senza essere nemico del sud del mondo. Ed in questo caso gli esempi potrebbero essere molti sia su temi strettamente economici sia su quelli ambientali e sociali. La seconda riguarda il ruolo dell’Occidente nel campo della scienza e della tecnologia. Diminuire il proprio peso economico relativo può essere controbilanciato dall’aumento e l’intensificazione del ruolo nello sviluppo della scienza e nell’utilizzo della tecnologia.

Il primato USA

Se oggi prendiamo le prime 300 università del mondo per qualità della ricerca e diamo un “voto” decrescente alla graduatoria ci accorgiamo che rispetto al totale dei voti gli Usa coprono quota 37%. Cina e Uk il 10% a testa, quindi troviamo Germania, Australia e Francia fra il 6% e il 4% e così via. Come dire che l’Occidente, con gli Usa che staccano tutto il resto del mondo, detiene saldamente il primato nel “petrolio della conoscenza” che è rappresentato dalle Università e dalla loro qualità.

È questo un elemento da rafforzare e da rendere sempre più importante nella politica economica dei paesi più avanzati. Fra cui anche l’Italia che non spicca per innovazione e ricerca con un peso delle università intorno all’1,8% e completamente realizzato da sedi esclusivamente del Centro Nord. C’è sicuramente da lavorare. Insomma, quello lanciato dai Brics è una sfida che trova fondamento nell’evoluzione tendenziale dell’attuale sviluppo economico. L’Occidente ha le sue carte da giocare. In particolare, se riesce ad agire con i suoi punti di forza come contributo allo sviluppo del benessere globale del mondo e non esclusivamente della propria area geopolitica.