Francesco Alfieri è un «custode» attento del lascito di Martin Heidegger, un fedele interprete dei suoi testi al di là di ogni lettura ideologica che ha spesso coinvolto in vita e dopo la sua morte il «luogotenente (Statthalter) del progetto dell’Essere». Il filosofo si è da poco trasferito all’Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, dove svolge attività di ricerca negli archivi privati anche di Eugen Fink. Ora torna in libreria con Edith Stein. Teresa Benedetta della Croce (1891-1943). Dottore della Chiesa: per la prima volta il testo attribuisce una nuova data di morte alla santa patrona d’Europa, uccisa dalla Gestapo nel campo di detenzione di Auschwitz-Birkenau.

Professor Alfieri, tratta di nuovo il primo oggetto della sua intensa attività di ricerca. Questo libro è un «ritorno» a Edith Stein?
«All’inizio della mia attività di ricercatore mi sono per lunghi anni occupato di Edith Stein e del suo percorso intellettuale ed esistenziale. Ma questo libro non segna nessun ritorno alla Stein. Anche perché continuo a occuparmi di Heidegger molto di più rispetto al passato, come di molti esponenti della corrente fenomenologica che da Gottinga si sviluppa a Friburgo e poi a Monaco».

Allora come è nato il progetto sulla filosofa?
«Il progetto di questo libro nasce nel 2022, quando fui contattato dal carmelitano Marco Chiesa, Postulatore Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi: mi comunicò che il suo Ordine voleva avanzare in Vaticano la candidatura a Dottore della Chiesa per Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, e che pertanto occorreva preparare tutto il materiale per avviare la preparazione alla causa per l’ottenimento di questo riconoscimento. Mi chiese di redigere solo un questionario ed esprimere un giudizio sul suo eventuale dottorato ecclesiale. Ma, nel momento in cui compilavo il questionario, mi resi conto che occorreva fare molto di più. Allora contattai gli studiosi steiniani e chiesi loro di analizzare gli scritti della filosofa per riflettere insieme sulla “eminente dottrina”. Naturalmente ho dovuto fare una scelta degli studiosi da coinvolgere e cercare di contenere gli studi che dovevo raccogliere».

Insomma, non è stato facile…
«È stato un lavoro immane, ma di questo ne ero consapevole sin dall’inizio. Ad esempio per l’Italia ho scelto che a scrivere sia la studiosa Carla Bettinelli, discepola di Sofia Vanni Rovighi: due filosofe che per prime hanno studiato e diffuso in Italia il pensiero di Edith Stein. E questo criterio l’ho seguito anche nella scelta degli studiosi provenienti dalle altre nazioni».

È notizia comune che Stein sia morta in una camera a gas insieme a sua sorella Rosa nel campo di concentramento di Auschwitz il 9 agosto 1942, mentre lei arriva a sostenere che abbia perso la vita nel 1943. Come è possibile questo cambio di data? Occorre riscrivere la storia della sua morte?
«Più di dieci anni fa feci notare all’archivista dell’Archivio-Stein a Colonia, Suor Maria Amata Neyer, che la data del 9 agosto 1942 non mi aveva mai convinto. Sostenni questa mia perplessità perché questa notizia ci è stata tramandata dalla prima biografa della Stein, Teresa Renata Posselt. Che questa prima biografia in molti punti sia un po’ “romanzata” e a tratti poco rispondente è stato negli anni rilevato da molti studiosi steiniani. Nel tempo la data del 9 agosto 1942 fu diffusa dagli studiosi e una verifica nel 1942 fu impossibile da verificare perché non era possibile accedere alla documentazione conservata negli archivi dei campi di sterminio (solo in questi ultimi tempi è stata resa accessibile). La mia perplessità nacque dallo studio del Diario di Etty Hillesum: lei annotò che il 20 settembre 1942 – domenica mattina, quindi molto dopo il 9 agosto del 1942 – vide “due suore provenienti da quella famiglia ricca, fervidamente ortodossa e altamente dotata di Breslau, con stelle sulle tonache”. E dal suo commento, poco più avanti, si comprende che la Hillesum si riferisce alle sorelle Stein, Edith e Rosa».

Con chi si è confrontato mentre preparava il volume?
«Contattai subito lo studioso Rainer Schmidt perché ero a conoscenza che anche lui aveva dei dubbi sulla data della morte della Stein. Gli chiesi di andare a controllare gli archivi olandesi, ora resi accessibili agli studiosi, e fare delle ricerche in questa direzione».

Dunque la documentazione riprodotta da Schmidt è stata una sorta di svolta?
«L’ipotesi che la Stein non sia morta il 9 agosto 1942, ma che sia sopravvissuta un altro anno, divenne sempre più concreta e questo lo si evince da tutta la documentazione che Schmidt ha riprodotto nel suo studio. Purtroppo non mi è stato possibile recarmi personalmente a condurre queste indagini negli archivi olandesi perché dal 2022 ho assistito mia madre Cristina, colpita da un grave tumore allo stadio terminale, e non potevo in quegli anni compiere alcun viaggio. Ma da queste ricerche di archivio si tocca con mano la grande sofferenza che la Stein, come il popolo ebraico, ha dovuto subire nei campi di concentramento. E questo libro è un valido strumento per comprendere la questione ebraica e le difficoltà che per anni ha dovuto subire: un popolo al quale la politica di Hitler ha deturpato la dignità della loro condizione umana».

A proposito, ha letto le minacce e gli insulti rivolti alla senatrice Liliana Segre?
«Trovo disumane le offese mosse, ormai da anni, alla senatrice Segre. È inconcepibile che chi è sopravvissuto a un campo di concentramento debba fare i conti, nel 2024, con una nuova ondata di odio. Bisogna promuovere, con ancora più determinazione, la cultura della memoria».