Il tonfo del procuratore in tv
Editto di Gratteri contro il Riformista: “Non leggete i giornali che mi criticano”

Piomba in mezzo alla campagna elettorale della Regione Calabria il primo vero tonfo mediatico del procuratore Gratteri. Forte e imprevisto. E ha come protagonista quel Mario Oliverio che lui voleva arrestare e che da pochi mesi è stato assolto al processo di primo grado “perché il fatto non sussiste”. C’è da arrossire di soddisfazione, a sentire il procuratore di Catanzaro accusare un giornalista di “leggere solo certi giornali”. Che si tratti del Riformista? Noi pensiamo di sì e ci fa piacere, inutile negarlo. Del resto quanti quotidiani non fanno da scendiletto e non esaltano le nobili gesta del procuratore più famoso d’Italia?
Non capita spesso che Nicola Gratteri venga sconfitto in tv. In genere gli capita nei processi, e lui tira dritto. Ma alla sua immagine di “Falcone di Calabria” lui tiene di più che non alle scaramucce giuridiche, anche quando, come gli succede spesso, sono pesanti. Quando chiede arresti che non gli vengono concessi o quando la Cassazione gli imputa “pregiudizio accusatorio”. Così due sere fa lui si è decisamente innervosito quando a Di martedì l’inconsapevole Floris gli ha presentato un giornalista che ai suoi occhi avrebbe dovuto servirgli domande di tutto rispetto. Soprattutto perché attualmente si occupa di calcio e affini, essendo il condirettore del Corriere dello sport.
Il procuratore di Catanzaro è rilassato e sorridente mentre aspetta la domanda di Alessandro Barbano. Il quale non bacia l’anello e va dritto al punto. «Lei nel 2018 ha indagato Mario Oliverio per corruzione e abuso d’ufficio. Ha chiesto gli arresti, non è riuscito a ottenerli, ottenendo invece il domicilio coatto per nove mesi. Oliverio ha dovuto dimettersi e fare lo sciopero della fame. La Cassazione ha però detto che c’era un pregiudizio accusatorio. Lei ha insistito, chiedendo la condanna a 4 anni e 8 mesi. Oliverio è stato assolto in primo grado perché il fatto non sussiste, ma ha dovuto dimettersi dalla sua carica di presidente della Regione. Lei che cosa prova pensando a Oliverio?».
Una bomba. Peggio, uno schiaffo sulla faccia di un magistrato abituato a essere lusingato e idolatrato dalla stampa, e soprattutto dai giornalisti che conducono o che partecipano ai talk. Mai nessuno si era permesso, a parte appunto noi del Riformista e pochi altri. Oltre a tutto nelle parole di Barbano si sente la sua storia di giornalista che non si è occupato solo di sport nella vita. Basti qui citare la direzione del Mattino dal 2012 al 2018. La sintesi perfetta della sua domanda è quasi il punto della storia politica della Calabria e della sinistra calabrese degli ultimi tre anni. E anche di tutto quello che è venuto prima. Mario Oliverio era il presidente della Regione Calabria, eletto nel 2014 con il 61% dei voti, uomo forte del Pd nella sua terra, quando la sua vita incrociò quella di Nicola Gratteri. Il procuratore parte morbido, con un’informazione di garanzia per abuso d’ufficio, che presto diventa anche accusa di corruzione e richiesta di custodia cautelare. Come sempre l’alto magistrato si copre le spalle con un’attenta comunicazione, e cala l’asso con un’intervista a Rai Uno. Dice che «con quasi 17 milioni di euro la Regione ha contribuito a ‘ingrassare’ alcune cosche grazie a lavori non eseguiti o eseguiti in minima parte».
Il problema della giustizia nelle regioni del Sud, e in Calabria in particolare da qualche tempo, è che a qualsiasi ipotesi di reato viene sempre affiancata la parola “mafia”, quasi come se tutti i calabresi, anche quelli che al semaforo passano con il rosso, fossero affiliati alla ‘ndrangheta. In ogni caso, come succede spesso nelle inchieste avviate dal procuratore Gratteri, anche in quel caso il primo a distanziarsi da lui fu il gip che non concesse per Oliverio la custodia cautelare in carcere ma nemmeno al domicilio. Stabilì per lui una sorta di soggiorno obbligato al suo paese, dove lui si ritirò e iniziò uno sciopero della fame. E mentre i procuratori distrettuali antimafia infierivano su di lui anche con metodi particolari, addirittura presentandosi in tre ed esibendosi in tre distinte “arringhe” all’udienza delle indagini preliminari, la vera ferocia arrivò fuori dalle aule del palazzo di giustizia.
Inutile dire che gli uomini del Pd si comportarono con quello stile che ormai non è più solo staliniano ma anche un po’ grillino, quello che davanti alle questioni di giustizia risale ai tempi del Pci, e poi del Pds e dei Ds, fino a oggi. Mentre Oliverio non era più presidente della Regione ed era al confino “come un mafioso”, gli incoraggiamenti più affettuosi dei suoi compagni di partito furono quelli di chi gli si diceva vicino “sul piano umano” (solo quello umano, non certo quello politico) e si augurava che lui riuscisse a dimostrare la propria innocenza. Beata ignoranza (o cinica ipocrisia)! Non dovrebbe essere il rappresentante dell’accusa a dimostrare la colpevolezza dell’imputato e a portare le eventuali prove? Ancora oggi, a tre anni di distanza, davanti a un giornalista che finalmente ha l’occasione di fissarlo negli occhi mentre gli chiede come si senta, guardandosi allo specchio, davanti a una vittima come Oliverio, Gratteri si smarca. Non molla, lui non sbaglia mai. Prima scarica sul gip, è lui che decide.
Sì, gli viene obiettato, ma anche dopo che la Cassazione le ha contestato un certo pregiudizio accusatorio, lei al processo ha chiesto la condanna a quattro anni e otto mesi di carcere. Allora diventa quasi offensivo, accusa il giornalista di essere andato in trasmissione solo per mettersi contro di lui: lei è venuto mirato per attaccare me, lei è stato imbeccato, non mi conosce, gli dice con il suo linguaggio aristocratico. Poi, dopo avergli contestato che “legge solo certi giornali” (e di nuovo ci sentiamo arrossire), ricorda ad Alessandro Barbano che “finora si è occupato solo di sport”. E su questo non facciamo commenti. La storia di Calabria è andata avanti, e si può dire che almeno in parte, la politica ha lasciato che fossero le inchieste del dottor Gratteri a influenzare le urne, in una sorta di intreccio malato fino al dicembre del 2019, quando il procuratore Gratteri sarà incoronato dal suo blitz più famoso (e come gli altri da subito mortificato dai ritocchi dei giudici), quello denominato Rinascita Scott, il cui processo è ancora in corso nell’indifferenza generale. Perché si sa che le mafie vengono sconfitte dai primi ordini di cattura, poi chi se ne importa dei riscontri nel dibattimento.
Poi nel gennaio del 2020 Jole Santelli ha vinto perché era brava, ma anche probabilmente perché di retata in retata anche Gratteri ci aveva messo del suo. Non perché volesse far vincere il centrodestra, sia chiaro. Ma perché chi vuole il potere cerca sempre di schiacciare quelli che ce l’hanno prima di lui. Così oggi Mario Oliverio si candida lontano dal suo partito di provenienza, come tutti quelli schiacciati dalla miopia politica, quella che vede oggi la candidata del Pd sostenuta anche dai Cinque stelle. È anche la storia di Bassolino, come lo fu di Penati e di tanti ex sindaci, presidenti di Regione o Provincia così come di parlamentari, trattati come parassiti nella criniera del cavallo di razza. La Calabria, con l’eventuale vittoria di Roberto Occhiuto, capogruppo di Forza Italia alla Camera, dato per vincente nei pronostici, ha decisamente svoltato. E probabilmente è giusto così.
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