Un «patto di potere strettissimo»
Elezioni Abruzzo, gli “affari” del centrodestra dietro la vittoria

Non è tutto oro quel che luccica. E anche dietro il successo della campagna di Abruzzo restano tante spine. Una soprattutto: la Lega occupa ormai il terzo posto, è il junior partner del governo, non ha più il respiro nazionale che Salvini aveva immaginato di dargli e se il 7,5% è mezzo punto sopra quella che sarebbe stata la Caporetto leghista (“non possiamo andare sotto il 7% dopo esserci fermati al 3,9% in Sardegna” spiegò a due giorni dal voto un dirigente del nord), è sempre più chiaro ed evidente che il tempo che resta da oggi al 9 giugno (urne europee) assume sempre di più le fattezze del giudizio finale per Matteo Salvini. E per la Lega. La qual cosa avrà certamente conseguenze sulla leadership, sulla tenuta della maggioranza e del governo.
Giorgia Meloni finalmente sorride. Dopo le vocine stridule – sul palco di Cagliari “la sinistra faceva il tifo perché lo spread salisse”- l’elmetto in testa su palco di Pescara (“tranquilli, succederà di tutto ma io ho sono pronta”) ieri ha finalmente postato immagini di cieli azzurri, il suo promo piano e la parola grazie. Ha condiviso un video dove sorridete e distesa ringrazia tutti “per il buon governo di questi anni. Perché non importa quanto un campo sia largo, quello che conta è quanto quel campo sia coeso. Il nostro lo è e facciamo le cose”. Come i due regalini arrivati freschi freschi con il consiglio dei ministri: giochi, macchinette e rateizzazioni di cartelle esattoriali.
La gioia di Tajani
Antonio Tajani esce a fine mattina dal preconsiglio a palazzo Chigi, sembra quasi Cristo sulle acque da quando è radioso e incredulo. Guarda il cielo, ringrazia Silvio Berlusconi: “Questa vittoria è per lui. Non è stato facile senza. Forza Italia è attrattiva per le forze moderate, centriste, responsabili che non trovano più la loro casa nel campo largo che è andato troppo a sinistra”. Matteo Salvini è il più essenziale, un po’ come il suo 7,5% di consensi (erano 27,5 nel 2019): “Il centrodestra è forte. E noi siamo andati meglio dei 5 Stelle” (inchiodati al 7,1%, una vera debacle). Peccato che Salvini abbia fatto 21 missioni in due settimane in Abruzzo, abbia promesso di tutto, ponte, strade e caselli autostradali e ha chiuso ogni comizio con la promessa: “Saremo a doppia cifra”. Meloni lo ha gelato a dieci giorni dal voto tirando fuori all’improvviso i soldi, spariti, per la ferrovia Roma-Pescara. Ieri erano tutti a pranzo insieme a palazzo Chigi. Pranzo di lavoro, “per stringere i bulloni del lavoro di squadra almeno una volta ogni due-tre settimane” ripete ogni volta lo staff della premier.
Lo choc della Sardegna, la lezione di Struzzu, ha aiutato il centrodestra ad evitare un disastroso bis che nelle ultime due settimane la maggioranza per prima, e non certo e non solo i giornali di sinistra, ha temuto e scongiurato. La maggioranza, il governo, Giorgia Meloni, sono stati terrorizzati dalla prospettiva di perdere la regione che è simbolo di tante cose: il “giardino di casa” di Roma, il collegio elettorale della premier, la prima regione in assoluto vinta da Fratelli d’Italia nel 2019 e Marsilio colui che apri le porte del Msi alla Garbatella all’allora quindicenne Giorgia Meloni. Se Truzzu era un amico di Atreju, Marsilio è un pezzo di vita della premier.
Il comitato d’affari
La prima domanda è grazie a cosa il centrodestra ha vinto.
“Semplice – spiega una senior deputata locale del Pd – un patto di potere strettissimo, quasi un comitato d’affari, che ha il proprio centro a L’Aquila e che beneficia di oltre un miliardo di euro destinati dal Pnrr, dei soldi della ricostruzione post terremoto e del legame diretto tra Marsilio e la premier”. Un patto che si è dimenticato la qualità della Sanità, le liste d’attesa, le infrastrutture (come la Roma-Pescara). Ma che fa girare soldi. La dimostrazione sono i risultati nelle varie province. Il dato finale vede Marsilio al 53,5% e lo sfidante Luciano D’Amico (centrosinistra) si ferma al 46,5%. Il governatore ha costruito la sua vittoria nella provincia dell’Aquila dove ha ottenuto il 61,14% dei consensi. Più equilibrato il risultato nelle altre province: il 51,49% nella provincia di Pescara, il 51,26% nella provincia di Chieti mentre Teramo non ha tradito il “suo” Rettore (51,3%), cioè D’amico. Festeggiando, in nottata, Marsilio ha detto anche che “stasera l’unica sarda che festeggia è mia moglie”. Lo stile della casa del resto è questo.
Forza Italia a due cifre
Il partito di Tajani è volato al 13,4%. I motivi sono in parte venali. In parte più nobili. “Occhio a Salvini” è ormai il non-detto quotidiano tra Meloni e Tajani. Tra i due c’è un patto, è stato stretto mesi fa, probabilmente appena morto il Cavaliere quando pochi o nessuno in Italia avrebbero scommesso su Forza Italia, “scomparirà”, si diceva, e invece tiene. Eccome se tiene. Il motivo è semplice: Meloni ha bisogno di avere una gamba moderata, centrista, un legame vero con il Ppe che le apra le porte in Europa e nella Nato. Così è stato in questi diciassette mesi di governo. In cambio Meloni ha evitato l’emorragia. Anzi, nei territori dove in questi mesi ci sarebbe stato un fuggi fuggi generalizzato sul carro vincitore dei Fratelli, la premier ha chiuso le porte e ha invitato i leghisti delusi ad accomodarsi nelle file di Forza Italia. Questo – era successo già in Sardegna – ha consentito il reclutamento di interi pacchetti di voti. Anche parte del voto 5 Stelle è confluito su Forza Italia: Sara Marcozzi, ex candidata 5 Stelle nel 2019 (ottenne il 19, 5% dei voti) ha aderito al partito di Tajani nel luglio 2023. La ex fedelissima di Di Maio ho tolto molto a Conte e consegnato altrettanto a Tajani.
Il centro che non c’è
Il punto è che il 48 % degli abruzzesi non è andato a votare. E che l’elettorato di centro non ha trovato un’adeguata offerta politica: non hanno convinto Renzi e Calenda alleati nel campo larghissimo ma a sinistra di Conte e Schlein. Non ha convinto Tajani alleato e al traino della destra di Giorgia Meloni. Questo è un tema su cui riflettere per chi ambisce a ricostruire il centro.
E poi c’è Salvini
Il 7,5 % è troppo poco per la Lega. Ma non abbastanza poco per suggerire al segretario di fare un passo di lato. Cosa che il partito del nord comincia invece a chiedere senza timore nelle varie assemblee locali. Se Salvini è stato per dieci anni un tabù intoccabile, adesso non lo è più. L’aver spostato il partito così a destra, le alleanze con i sovranisti tedeschi e francesi, il filoputinismo e adesso, smaccato, il filo trumpismo sono scelte che non piacciono ai leghisti della vecchia Lega nord, l’unica e vera ragione sociale del partito di via Bellerio. Il problema è che il progetto della Lega partito nazionale con Salvini premier ha fallito. Ieri Durigon, un fedelissimo di Salvini, si sforzava di dichiarare che “al sud, in Campania ad esempio, sono tanti gli ingressi nella Lega”. Il 7,5% consente di rinviare il regolamento di conti a giugno, al voto per le europee. Dove però Salvini conta di intercettare il vento sovranista e di destra. Quello che ha portato gli estremisti di Chega a dare le carte per formare il governo in Portogallo. E che, in base ai sondaggi, ha fatto crescere la famiglia politica di Identità e Libertà al terzo posto nelle proiezioni del parlamento europeo.
Due piccoli regali
Intanto, dopo questa bella domenica abruzzese, il governo ha deciso di premiare i suoi elettori. Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via libera ad una serie di norme che mettono ordine nel settore dei giochi on line, seguiranno le slot e dintorni: si parla di aumenti di licenze. Rischio infiltrazioni mafiose? “Macché – dice il viceministro Leo – abbiano tolto il contante e questo è un problema per chi vuole riciclare”. Di sicuro sono un regalo all’elettorato di centrodestra le nuove norme sul pagamento delle cartelle esattoriali: a forza di rateizzare, si può anche non pagare più. E buonanotte a chi ha pagato.
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