Alle  elezioni presidenziali in Algeria i risultati sono ormai molto spesso scontati ed anche questa nuova tornata elettorale ha confermato la poca incertezza che li aveva preceduti. Il presidente in carica Abdelmajid Tebboune è stato riconfermato con il roboante risultato del 94,5% dei voti espressi dagli algerini. Soltanto cinque milioni e mezzo di elettori si sono registrati per votare e anche se l’Autorità Elettorale Algerina (Anie) ha dichiarato che il 48% degli aventi diritto avevano votato non esistono dati ufficiali.  Alla sua prima elezione nel 2019, sull’onda delle proteste del movimento Hirak soltanto il 38% degli algerini si era recato alle urne e quindi il 48% fatto circolare ufficiosamente sarebbe un successo. Le opposizioni hanno accusato il governo di gonfiare il dato dei votanti per avvalorare la vittoria di Tebboune, ma il dato inequivocabile è che soprattutto i giovani restano molto lontani dalla politica.

A queste elezioni si erano presentati soltanto due sfidanti: l’islamista moderato Abdelaali Hassan che ha ottenuto soltanto il 3,1% dei voti ed il candidato del fronte sociali unificato Youcef Aouchiche che è andato ancora peggio conquistando poco più del 2%. Questi due candidati erano stati ammessi per la loro inconsistenza, mentre altri 13 ben più pericolosi non avevano avuto il permesso di correre per la poltrona presidenziale. Oltre la metà dei 45 milioni di abitanti dell’Algeria sono giovanissimi che si sentono molto lontani dai palazzi di Algeri e che avevano sperato in qualche riforma. Invece dopo il 2019, utile ad evitare soltanto il quinti mandato presidenziale di Bouteflika, l’Algeria del 79enne Tebboune si è chiusa ancora di più in se stessa evitando ogni tipo di confronto con la sua società che sta cambiando molto rapidamente.

L’Algeria ha aumentato il suo peso economico e geopolitico a causa della guerra in Ucraina, diventando il principale fornitore di gas liquefatto per i paesi europei che volevano sostituire il gas russo. Grande produttore ed esportatore Algeri ha un rapporto molto altalenante con i partner europei, soprattutto con l’ex madrepatria Francia che a parere dei governanti algerini si è avvicinata troppo alla linea politica del Marocco. Lo scontro con Rabat resta a bassa intensità, ma sempre pronto ad esplodere con la scusa della gestione del Sahara Occidentale, ma più concretamente per una certa egemonia regionale.

Algeri sostiene e arma i movimenti Tuareg del deserto che destabilizzano Mali e Niger e resta un gigante per tutta l’Africa mediterranea. Nei mesi scorsi era girata la voce che l’Algeria avesse anche fatto domanda per entrare nei Brics, la famosa alleanza guidata da Cina, Russia ed India, ma non c’è ancora un percorso ufficiale. I rapporti con Mosca sono però antichi e solidi e non sono mai stati messi in discussione in questi anni. Anche l’Italia con il Piano Mattei ha previsto di lavorare in Algeria soprattutto per quanto riguarda le energie rinnovabili che potrebbero essere il futuro dell’intero Nordafrica.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi