Il voto è chiuso. Ma la partita dell’intelligence americana contro le interferenze straniere no. I servizi segreti e la polizia statunitense sono da mesi a caccia di qualsiasi indizio per fermare le ingerenze delle forze rivali. La Russia, in particolare, che con il suo esercito di hacker e la famosa “fabbrica dei troll” per Washington è sempre stata la prima indiziata delle attività più pericolose per interferire nel processo democratico. Ma negli ultimi tempi, a destrare l’attenzione degli agenti di Fbi, Cybersecurity and Infrastructure Security Agency e Director of National Intelligence sono state anche le presunte attività dell’Iran, potenza che ha giurato di vendicarsi contro Donald Trump per l’uccisione del generale Qasem Soleimani nel 2020, e che è stata più volte accusata di avere compiuto “attività informatiche dannose” nei confronti del candidato repubblicano.

Le tre agenzie hanno lavorato con tutti gli apparti dello Stato per limitare i danni. Secondo i servizi segreti e i funzionari del governo, lo scopo delle ingerenze straniere, e in particolare di Mosca, è stato quello di acuire la polarizzazione. Per Fbi, Cisa e Odni, erano state osservate “operazioni di influenza volte a compromettere la fiducia dell’opinione pubblica nell’integrità delle elezioni Usa e alimentare divisioni tra gli americani”. Una minaccia che si sarebbe concretizzata soprattutto nell’elaborazione di fake news e video falsi per scatenare l’ira dell’opinione pubblica, dividerla e rafforzare alcuni argomenti particolarmente sensibili negli Stati in bilico decisivi per la corsa alla Casa Bianca. E se per molti osservatori Mosca ha cercato più o meno indirettamente di avvantaggiare la campagna di Trump, diverso è il caso di Teheran, i cui obiettivi sono sembrati differenti: non solo colpire the Donald, ma anche insinuarsi nell’elettorato arabo e musulmano per alimentare la protesta sul sostegno a Israele.

I video-fake: “Votate da remoto” per rischio terrorismo

Per Washington, un pericolo serio, capace di colpire al cuore il tempio della democrazia Usa. Anche ieri, in pieno voto, l’Fbi ha denunciato la circolazione di due video attribuiti all’agenzia in cui si consigliava di “votare da remoto” per rischio terrorismo nei seggi, oppure in cui lo stesso Bureau ammetteva la manipolazione dei voti dei detenuti in alcuni Stati-chiave. Ma se questa parte di lavoro si è conclusa con la chiusura delle urne, l’intelligence e i servizi federali adesso sono impegnati anche nell’altra sfida, quella che prenderà forma da qui all’insediamento del nuovo presidente. “Prevediamo che attori russi diffonderanno altri contenuti confezionati con questi temi durante l’Election Day e nei giorni e nelle settimane che seguiranno la chiusura dei seggi” hanno detto le tre agenzie impegnate in questo compito.

E non è un mistero che già dopo l’ultima elezione, quella vinta da Joe Biden nel 2020, in molti accusarono potenze “ostili” di avere soffiato sul fuoco delle polemiche per i presunti brogli, aumentando il numero di pagine e account che sostenevano la necessità di un riconteggio delle schede elettorali. C’è chi crede che ci siano dei video preconfezionati, fatti apposta per scatenare la rabbia di alcuni segmenti della popolazione e generare il dubbio che il voto sia stato caratterizzato da un’enorme e ramificata truffa elettorale. Una preparazione di mesi, se non di anni, che avrebbe l’obiettivo di mettere in dubbio tutta l’impalcatura della democrazia americana e generare anche possibili rivolte là dove è più facile solleticare i sentimenti più repressi e i disagi più profondi dell’America.

Un paese polarizzato fino all’estremo e che in questi anni non ha mancato di vivere momenti di grande tensione, come le rivolte della comunità afroamericana dopo l’uccisione di George Floyd o l’assedio di Capitol Hill da parte dell’ala più radicale trumpista. Le agenzie federali, le forze dell’ordine e i servizi sanno perfettamente qual è il pericolo che corre la democrazia statunitense. Ma le sue fragilità le conoscono anche le potenze rivali.