Quando mancano ventiquattro ore all’election day, il futuro degli Stati Uniti è appeso al voto di sette Stati, gli ormai celebri swing States: sette Stati che a oggi non sono attribuibili a nessuno dei due candidati. I sondaggi sono incerti, e azzardarsi in previsioni è rischioso e forse persino folle. Una lezione che sondaggisti e analisti americani (e non solo) hanno appreso sulla loro pelle nel 2016, quando non videro arrivare l’onda rossa che avrebbe portato contro ogni previsione Donald Trump alla Casa Bianca. Di questi sette Stati, due sono quelli in cui si sta concentrando maggiormente la macchina elettorale dei due candidati: Georgia e Pennsylvania. Due “Stati” che nelle ultime elezioni presidenziali – tanto quelle del 2016, quanto in quelle del 2020 – sono risultati decisivi. Due Stati che incarnano la storia americana nei mille rivoli delle sue molte contraddizioni e del suo fascino.

Il duello in Pennsylvania vale 19 grandi elettori

Da una parte la Pennsylvania, detta anche Keystone State per il suo essere perno tra 13 colonie fondative. Non a caso il 4 luglio del 1776 a Philadelphia fu firmata la dichiarazione d’indipendenza. Sempre la Pennsylvania, Stato che negli anni drammatici della “Guerra di secessione” si trovò ad essere appunto Stato di confine, fornì all’Unione il maggior numero di truppe. Per dirla con il gergo dell’epoca: la Pennsylvania è lo Stato yankee per eccellenza, e nel 1863 fu teatro della decisiva Battaglia di Gettysburg che avrebbe cambiato il corso della guerra in favore del Nord. Oggi è uno degli Stati della Rust Belt, “la cintura della ruggine”, un tempo Manufacturing Belt o Factory Belt, “cintura delle fabbriche”.

Oggi, come dopo la grande depressione, di quello che fu il cuore pulsante dell’industria americana non resta che il ricordo. Ed è qui che si consuma il grande duello tra Donald Trump e Kamala Harris, con l’ex presidente che promette di rianimare quel “cuore” che ha smesso di battere, puntando molto su un ritorno alla produzione interna. Qui Trump ed Harris si giocano una fetta importante della loro vittoria, e tra gli Stati in bilico è quello realmente più incerto e con un bottino di ben 19 grandi elettori da assegnare.

Georgia, 16 grandi elettori: Trump in leggero vantaggio

L’altro è la Georgia, uno Stato dalla tradizione profondamente diversa, che dalla sua porterà in dote a uno dei due candidati – e probabilmente al prossimo inquilino della Casa Bianca – 16 grandi elettori. Come per la Pennsylvania, anche in Georgia l’ultimo sondaggio del New York Times dà The Donald in leggerissimo vantaggio di un punto; le altre rilevazione arrivano persino al mezzo punto, quindi pienamente nella soglia d’errore. La Georgia ha una storia opposta a quella dello Stato di Philadelphia, cuore del Sud confederato: ribelle lo è stata ben oltre la fine della guerra civile.

Terra dei “Volunteers” per la Confederazione, riammessa nell’Unione solo nel 1870, nel settembre del 1864 con la presa di Atlanta fu chiaro il crollo e la sconfitta del Dixie. Atlanta, nell’immaginario di molte generazioni di lettori e soprattutto di spettatori, è la città delle danze e dell’attonito silenzio in attesa che arrivi il bollettino di guerra in Via col Vento. Patria di quelli che verranno definiti i Dixiecrat. Dal 1964, dopo la scelta di Lyndon Johnson di proseguire sulla via dei “diritti civili”, la Georgia voltò le spalle ai democratici e votò per Goldwater. Nel 1968 fu tra i cinque Stati del Sud che votarono per il terzo candidato a governatore dell’Alabama George Wallace, apertamente segregazionista. La Georgia, al di là della retorica, è uno degli esempi delle questioni irrisolte nella storia americana. E – come tale – nel cambio di paradigma della politica a stelle e strisce negli anni si è trasformato in uno Stato prevalentemente repubblicano, con qualche rilevante eccezione. È in questo dubbio che si fissano le speranze e i dubbi dei due candidati.

La storia americana è a un punto di svolta, e ancora una volta passa da questi due Stati simbolo. Indicativi dei due volti dell’America, che spesso – troppo spesso – stentano a riconoscersi, ma che oggi più che mai rappresentano il cuore pulsante di una nazione che ora deve eleggere il suo “Comandante in Capo” e ritrovare l’anima che tutti democratici e repubblicani sentono di aver perso. Ad essere in gioco, in un certo senso, è l’immagine che l’America vuole proiettare di sé stessa. E, come in una pellicola della Hollywood dell’età dell’oro, tutto passa da Pennsylvania e Georgia.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.