Non sarà più l’Ohio di una volta, eppure il test ligure è già un salto nel buio per tutta la politica italiana. Una sorta di rito pagano che impone un pedaggio salatissimo agli incauti partecipanti, che lo hanno sottovalutato. Nessuno escluso. D’altra parte è noto che i liguri abbiano molte difficoltà a praticare sconti. Non poteva che finire in un pasticcio la contesa iniziata clamorosamente il 7 maggio, con i lunghissimi domiciliari a cui è stato costretto il presidente Giovanni Toti. E dall’inchiesta della Procura di Genova, in effetti è tutto partito. Per dire che le condizioni di questo reality show sono le peggiori possibili per Giorgia Meloni, Elly Schlein, Giuseppe Conte e Matteo Renzi.
Orlando e il giustizialismo del campo largo
Un destino avverso intanto per Andrea Orlando, il big Pd che da due mesi cerca di invertire un’antica tradizione, essere profeta in patria, in una terra quanto mai avara di riconoscimenti. Il campo largo qui si è ritrovato a respirare i miasmi del giustizialismo, cavalcando da subito le disavventure giudiziarie degli avversari. E che avversari, proprio quelli che da 9 anni puntualmente vincono le elezioni in ogni contesto amministrativo e che hanno costretto la vecchia gloriosa macchina dei bei tempi a immalinconirsi all’opposizione. Un’area politica cresciuta a pane e radicalismo, con il mito del prete di strada Don Gallo e la ruvidezza laboriosa dei camalli.
Un bel daffare per il predestinato per antonomasia, Andrea Orlando, l’ultimo figlio della blasonata scuola del Pci, e “imborghesito” da decenni di lotta parlamentare a Roma, intervallati da più comode sedute ministeriali. Un uomo di “mondo”, consapevole di essere alla guida di un’ammucchiata che giudica la Gronda una parolaccia. Lo spezzino si augurava almeno di ricevere un regalo da Giorgia Meloni. Un avversario tradizionale, uno di partito, magari il viceministro Edoardo Rixi, braccio destro di Matteo Salvini, che era di gran lunga il competitore preferito dal Pd. Invece la presidente del Consiglio, in una pausa del “complotto” tramato ai suoi danni dall’improbabile influencer di Pompei, ha avuto un guizzo di genialità. E ora al povero “profeta” tocca confrontarsi con Marco Bucci, il sindaco che già nel 2017 aiutò la destra a riprendersi Genova, e che cinque anni dopo portò la sua lista civica a sfiorare il 20%.
Ultima spiaggia, certo, per un centrodestra che non riusciva a mettere in piedi una candidatura, scosso da cattiverie di ogni tipo oltre che dal timore di far riavvicinare Giovanni Toti alla sala di regia. Nasce così l’intuizione di Giorgia, geniale e disperata al tempo stesso.
Le giravolte di Renzi: in due anni con e contro Bucci
Il pasticcio continua nel luogo più inflazionato da liti e disastri (elettorali): ciò che resta del terzo polo. Matteo Renzi aveva già i suoi problemi a farsi accogliere nel campo largo, ma anche la solita caparbietà a voler raggiungere la destinazione a ogni costo. La candidatura di Bucci con il centrodestra ha reso tutto più tortuoso anche a lui, che pure è maestro a cambiare cavallo. L’ex presidente del Consiglio così ci ha provato con un post sui social a precisare i motivi che lo portavano a non appoggiare il “bravo” Bucci. È che dopo un minuto, è tornato ad essere virale un altro post – scritto dallo stesso leader di Italia Viva solo due anni prima – in cui insieme a Raffaella Paita annunciava il sostegno al sindaco che si stava ricandidando per il secondo mandato. Insomma, non il massimo della coerenza.
Il nuovo Centro cosa farà?
Luigi Marattin, insieme ad Andrea Marcucci e all’imprenditore Alessandro Tommasi, sono pronti a fare i Renzi di due anni fa, a sostenere il front man del centrodestra. Domani i tre si confronteranno a Milano in un grande evento, con l’obiettivo di rimettere in piedi l’opzione libdem, una faticaccia.
Carlo Calenda invece procede a zig zag. Il leader di Azione informalmente avrebbe dato la sua parola ad Andrea Orlando, ma ha capito che la Liguria potrebbe costargli la perdita di almeno tre parlamentari. Da quel momento, si è fatto più cauto e ha ripreso ad ammonire: “Se Orlando prende la strada del giustizialismo, noi non lo seguiremo”. Intanto a fare l’accordo con la sinistra ci possono pensare i suoi dirigenti locali, che almeno – a differenza di quelli di Italia Viva – a Genova sono all’opposizione. A complicare ulteriormente le cose c’è anche Giuseppe Conte, che a casa di Beppe Grillo è costretto a fare fino all’ultimo il piantone. E a presidiare gli ingressi del campo largo per evitare l’arrivo di fiorentini indesiderati. Impossibile fare previsioni, tutti si giocano l’osso del collo.