L'analisi
Elezioni Liguria, Schlein sbaglia rigore a porta vuota, Conte è l’assistman di Meloni: il Pd vola ma perde perché non vede il Centro
Lo scarto è di appena 8.418 voti. Un filo sottilissimo dell’1,41%. Ma la vittoria di Marco Bucci in Liguria pesa tantissimo. In primis perché è una mazzata per i giustizialisti convinti di prendersi la Regione cavalcando l’ondata forcaiola. E poi perché, ancora una volta, è emersa l’importanza dell’area moderata per vincere. Non a caso l’Istituto Cattaneo parla di «apporto notevole» dei voti dall’elettorato centrista verso il centrodestra. Eppure le reazioni a urne chiuse dimostrano che a sinistra non hanno imparato la lezione. A partire da Andrea Orlando, che tutto sommato non disprezza il risultato: «Non è tempo di recriminare nulla. Sapevamo che era una partita difficilissima, un sistema di potere non lo scardini in pochi mesi, ma siamo tornati finalmente competitivi dopo quasi 10 anni». Insomma, abbiamo perso ma abbiamo giocato bene. Come se la sconfitta fosse un piccolo dettaglio.
Il Pd vola ma Schlein perde perché non vede il centro
Il Partito democratico non può nascondersi dietro l’ottimo 28,5% di lista. Elly Schlein sa che le elezioni regionali sono anche un test nazionale, un banco di prova per la sua leadership. E i limiti della segretaria vengono a galla: asse totalmente sbilanciato a sinistra, impotenza di fronte ai diktat del Movimento 5 Stelle, incapacità di capire che senza il centro si perde. Non mancano rabbia e malumori nel Pd, ma i mugugni vengono congelati in vista degli appuntamenti elettorali fissati per domenica 17 e lunedì 18 novembre. «Ora ci sono Emilia-Romagna e Umbria, dopo tireremo le somme», assicura un big dell’area riformista dem.
“Conte miglior alleato di Meloni”
Il rischio di capitombolare ancora è forte. Alessandro Alfieri, responsabile Riforme del Pd, non nasconde l’amarezza: «Purtroppo sono prevalsi i veti. E ai veti è seguito un errore politico: pensare che si dovesse scegliere tra il 6% di Conte e il 2% di Renzi che si leggevano nei sondaggi. Quel no al leader di Italia Viva sarebbe stato inevitabilmente percepito – e quindi strumentalizzato – come un no alla parte centrista della coalizione». Maria Elena Boschi, deputata di IV, alza la voce e non fa sconti a Giuseppe Conte: «Si è dimostrato ancora una volta il miglior alleato di Giorgia Meloni». Andrea Marcucci, presidente di Libdem europei, mette il carico da novanta: «Perde (e male) Conte, con il suo giustizialismo e settarismo, vero responsabile della sconfitta del campo largo».
Ma il messaggio non arriva a tutti. L’ala più radicale del campo largo, nonostante la partita persa, vuole tirare dritto per la propria strada. A testa bassa. Una forma di autolesionismo politico che andrebbe analizzata dagli esperti di masochismo. Conte, dopo aver racimolato un misero 4,6%, dimostra di non aver compreso l’insegnamento delle elezioni liguri: «Ipotizzare fantasiose alleanze con Renzi e i suoi epigoni avrebbe solo fatto perdere ancor più voti». Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, continua a sollevare una questione personale sul centro: «Forse lì c’è un problema e non mi pare che Renzi sia il più titolato a immaginare di risolverlo, visto che è uno dei protagonisti della crisi di quell’area politica. Forse questo dovrebbero ricordarselo tutti». In tutto ciò il centrodestra gongola e Meloni ne approfitta per rafforzare l’immagine del governo. Va a segno l’assist del M5S, troppo ghiotto per essere sprecato.
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