Una novità ci sarà davvero, nel Parlamento che nascerà dopo le elezioni del 25 settembre: l’assenza di magistrati in servizio. Sarà stata la norma sulle porte girevoli, sarà che conviene di più far politica con la toga addosso, oppure acquattarsi in qualche ministero, fatto sta che, per la prima volta di sempre, il Csm non ha ricevuto nessuna domanda. Tutte le toghe italiane resteranno al loro posto anche dopo il 25 settembre. Ma un altro fatto nuovo è all’orizzonte, si va in Parlamento dopo la pensione. Lo fanno i sindacalisti e ora anche le toghe, un vero squadrone di ex (e che ex!) che si accinge a dare l’assalto al Palazzo d’Inverno.
Ci sono i due prestigiosi pm “antimafia”, Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho, i quali hanno già dichiarato di voler continuare la lotta anche senza toga. Chissà se hanno mai sentito lo slogan del maggio francese “ce n’est qu’un debut, continuons le combat”, e si sa come è andata a finire. Ma loro ci proveranno, con il partito di Travaglio, pardon, volevamo dire di Conte. Poi c’è Luigi de Magistris, ex sindaco di Napoli, reduce da una sfortunata candidatura in Calabria, l’unico a essere riuscito, con una truppa di sigle dalle posizioni un po’ radicali, soprattutto sulla guerra, come Rifondazione e Potere al popolo, a raccogliere ben sessantamila firme in dieci giorni. Giustamente ne è orgoglioso, qualora la sua lista superasse il 3% e lui entrasse in Parlamento, la sua dichiarazione in cui si vanta di “un risultato contro il sistema” non promette molto bene. Non proprio un linguaggio da uomo delle istituzioni.
Ma la vera novità sarà la presenza di due garantisti e riformatori doc come Simonetta Matone, candidata a Roma con la Lega e di Carlo Nordio, che correrà con Fratelli d’Italia nella sua città veneta, Treviso. La loro presenza potrebbe essere dirompente, prima di tutto per i partiti che hanno offerto loro la candidatura. Simonetta Matone, che ha lasciato la magistratura un anno fa pur non avendo ancora 70 anni, l’età pensionabile delle toghe, è stata già candidata a guidare la città di Roma con Enrico Michetti. Una carica politica, in un mondo che lei conosce bene, fin da quando, alla fine degli anni Ottanta, fu capo segreteria del ministro guardasigilli socialista Giuliano Vassalli. Le cose che ha fatto in seguito sono tante, come pm del tribunale dei minori soprattutto. E al fianco delle donne maltrattate. Ma l’impronta che ha lasciato come giudice di sorveglianza a Roma, quella è indimenticabile. Perché ha vinto una grande scommessa sulla fiducia nei confronti dei detenuti, concedendo 990 permessi di uscita dal carcere e vedendone ritornare ben 981. Un record.
A Rebibbia, dove ha incontrato anche esponenti del terrorismo e dell’eversione sociale di destra e di sinistra, ha rotto per la prima volta il muro che separa il carcere dal resto del mondo, con un convegno nazionale dal titolo rivoluzionario, “Misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna”. Invitati di rilievo, il presidente del Senato Francesco Cossiga, il ministro di giustizia Mino Martinazzoli, l’ex presidente della Camera Pietro Ingrao. Aderirono tutti, insieme ai tanti magistrati, parlamentari e gente dello spettacolo. Tutto il carcere di Rebibbia fu mobilitato, i detenuti misero in scena l’Antigone di Sofocle, incaricato dell’organizzazione un certo Salvatore Buzzi, detenuto “comune”, che rivelerà in seguito grandi capacità organizzative in altri settori. Era la fine del 1983, alla presidenza del consiglio c’era un certo Bettino Craxi.
I detenuti ricordarono la giudice Matone con una targa che dice “A Simonetta, che a molti spezzò la chiave dell’attesa”. Ecco, è proprio la parola “chiave” che potrebbe entrare, insieme all’ingresso di questa toga in Parlamento nel gruppo della Lega, nella cultura di Matteo Salvini, con un senso rovesciato a quello tante volte usato in passato: la chiave che apre, non quella che chiude. Anche se è giusto ricordare che proprio il leader della Lega di aperture ne ha già mostrate diverse, con la proposizione dei cinque referendum sulla giustizia. Ma proprio su questo potrebbe però aprirsi qualche contraddizione interna a un altro partito, Fratelli d’Italia, con l’ingresso di Carlo Nordio. Perché proprio su due referendum che riguardavano la detenzione, quello sulla legge Severino e quello sulla custodia cautelare, il partito di Giorgia Meloni aveva impegnato una campagna contraria.
Mentre, anche se può apparire paradossale, l’ex procuratore aggiunto di Venezia, potrebbe avere vita facile, sia come parlamentare che come eventuale ministro, nelle riforme costituzionali che più gli stanno a cuore. Quelle che consentirebbero l’attuazione del sistema accusatorio del codice di procedura penale del 1989, cioè l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione delle carriere tra il giudice e il rappresentante dell’accusa. Ma nel frattempo ci saranno tutte le “quisquilie” quotidiane da affrontare, come ben sa l’attuale guardasigilli Marta Cartabia, all’interno di partiti che, come del resto la gran parte di quelli di sinistra, devono ancora maturare la cultura della chiave. Quella che apre, non quella che chiude.