In Italia le elezioni europee hanno sempre avuto un significato nazionale. L’Europa è storicamente entrata molto tangenzialmente nelle campagne elettorali. La stragrande maggioranza degli italiani nemmeno conosce i gruppi parlamentari a Bruxelles. Da noi le Europee sono sempre servite ad altro. In genere si sono trasformate in prove di forza dei leader del momento che le utilizzavano come una sorta di referendum nei loro confronti. Accadde nel remotissimo 1994 con Silvio Berlusconi che ottenne dagli elettori il “lasciatelo lavorare”.
Più di recente con Matteo Renzi che era arrivato al governo non attraverso il voto. Sono servite cinque anni fa a Matteo Salvini ad affermare la propria leadership (che prontamente dilapidò nell’agosto del Papeete). E Giorgia Meloni, che stupida non è, ed è anche una che la politica la vive, la mastica, e la studia, questo fenomeno lo conosce benissimo e ha lanciato il referendum addirittura sul proprio nome di battesimo. Spera che la storia si ripeta. Volendo fare un esercizio di archeologia, potremmo spingerci fino al 1984 quando le Europee si trasformarono in un necrologio di massa con gli italiani che sull’onda della commozione per la morte di Enrico Berlinguer andarono a votare Pci e portarono il Partito comunista a essere il primo partito. Qualcuno ricorda liti agguerrite e appassionate su temi europei? Quasi mai per le Europee. È avvenuto sì ma in vista di appuntamenti che avrebbero cambiato il senso della storia come il sì all’euro.
Di Italia in Europa non sempre si parla in termini lusinghieri. Il recente pasticciaccio italiano sul nuovo Patto di Stabilità ha avuto immediate ripercussioni. Politiche e di costume. Al dibattito, organizzato recentemente dal giornale Politico a Maastricht, un luogo simbolo dell’Europa (qui nel 1992 venne firmato il trattato che istituì l’Unione europea), è stato esposto il disegno del vignettista olandese Arend van Dam che ha raffigurato l’Europa come un uomo sofferente, con le stampelle, quindi già in uno stato non felice. Ma la gamba mal messa, malata, diremmo ingessata, era proprio l’Italia evidentemente considerata l’anello debole. Vignetta che ha immediatamente fatto il giro sui social.
L’Italia è un Paese politicamente accartocciato su sé stesso. Anche giornalisticamente, nel corso degli anni si è via via ridotto lo spazio dedicato agli esteri. A meno, ovviamente, di eventi clamorosi. Queste Europee non fanno eccezioni. Eppure sono elezioni cruciali per il destino del sempre più malandato quanto affascinante continente.
Ma solo di Europa, senza ricadute, il Riformista ne parla con Antonio Parenti che ricopre un ruolo di prestigio e responsabilità. È il Rappresentante della Commissione Europea in Italia sotto la presidenza di Ursula von der Leyen. Una vita in Europa. In passato, dal 2015 al 2020, è stato ministro consigliere e capo della sezione Economia, commercio e sviluppo delle Delegazione dell’Unione Europea presso le Nazioni Unite, dove ha diretto per l’UE importanti negoziati per l’implementazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 ed è stato il capo negoziatore europeo per il patto mondiale sulla migrazione.
Il ruolo cruciale delle Europee
«L’Europa riveste un ruolo cruciale per tutti noi. Basti pensare che ormai da qualche anno dall’Europa fondamentalmente arriva circa l’80% della legislazione anche nazionale. Legislazione che tocca temi della vita di tutti i giorni: dalle caratteristiche dei prodotti alla tutela dei consumatori, all’agricoltura. La legislazione anche nazionale ha una sua origine in Europa. Perché in grandissima parte significa approvazione di decisioni prese dal Parlamento europeo. Sentiamo tante volte dirci “ce lo chiede l’Europa”. In realtà l’Europa non sta chiedendo niente perché l’Italia non solo è Stato fondatore, è un Paese che riveste un’importanza molto grande, esprime circa 76 parlamentari che votano al Parlamento europeo il più delle volte a maggioranza».
Parenti si sofferma molto sul ruolo cruciale di queste elezioni soprattutto in ottica internazionale. Un discorso che – diciamo noi – dovremmo sentire più spesso in Italia. Di difesa si parla troppo poco, sembrano scenari distanti. In realtà non lo sono.
Le guerre e la minaccia Trump
«I prossimi cinque anni – prosegue Parenti – saranno molto critici per l’Europa. Ci ritroviamo a vivere una realtà con due guerre che ci riguardano molto da vicino.
Una ci tocca in maniera molto diretta ed è l’invasione russa di un paese candidato a entrare nell’Unione. Ma ora c’è anche la guerra Israele-Hamas che ha effetti su una zona del mondo che a noi è vicina. Non solo. Perché a novembre ci saranno le elezioni negli Stati Uniti. Non sono elezioni come le altre. In lizza c’è Donald Trump che in passato non si è mostrato particolarmente amico dell’Europa. Una eventuale vittoria di Trump potrebbe portare a una revisione delle priorità strategiche degli Usa. L’Europa quindi dovrà darsi un’identità di difesa molto più accentuata rispetto a quella di oggi.
Il che non significa necessariamente spendere molti più soldi per l’esercito; significa spendere i soldi molto meglio. Ricordiamo che spendiamo, come Europa, il 40% di quel che spendono gli Stati Uniti e più o meno lo stesso importo della Cina. Con limiti che sono sotto gli occhi di tutti. Serve una più forte interazione tra gli eserciti europei, non dico se venisse meno l’ombrello americano ma se da lì arrivassero molti dubbi nei nostri confronti. Senza dimenticare che nei prossimi anni potrebbe esserci maggiore pressione della Russia in altri quadranti dell’Europa».
Prosegue Parenti: «Mentre gli Stati membri per definizione tendono ad avere una posizione difensiva, il Parlamento europeo ricopre anche una funzione di pungolo, non dimentichiamo la risposta forte che diede, con la Commissione, in tempi di pandemia con le firme di Von der Leyen e Sassoli. Dovrà essere così anche in futuro. Servono discorsi di integrazione per la difesa. Non sarà facile fare un passaggio verso imprese che siano veramente europee e dove non ci sia un calcolo di vantaggio per il proprio Paese. Perciò è molto importante avere parlamentari che conoscano a fondo queste problematiche, che le capiscano e che siano in grado di spiegarle. È importante avere parlamentari di qualità».
Nuovi Paesi in Europa
Parenti ricorda che nel prossimo quinquennio potranno essere compiuti importanti passi avanti in ottica allargamento e integrazione di nuovi Paesi.
«C’è un numero importante di candidati, penso all’Albania, al Montenegro, alla Macedonia del Nord, all’Ucraina, alla Georgia, e sicuramente dimentico qualcuno. L’Unione europea dovrà porsi la domanda di come essere in grado di funzionare quando raggiungeremo 33-34 Stati membri. C’è difficoltà ad assumere decisioni all’unanimità e non solo in politica estera».
Migranti e ambiente
Strettamente legato alla politica internazionale è il tema dell’emigrazione. «L’Europa – prosegue – ha potuto dotarsi di strumento legislativo recente che prevede importanti obblighi degli Stati membri, ma anche e soprattutto la necessità di lavorare in modo più coerente con i paesi d’origine al fine di ridurre l’emigrazione e favorire il ritorno qualora si trattasse di persone che non hanno il diritto di stare in Europa. Ma noi abbiamo l’esigenza di far accedere in Europa in maniera legale, la nostra economia ne ha assolutamente bisogno come è evidente ad esempio dalla ricerca di personale nel settore sanitario».
Senza ovviamente dimenticare l’ambiente. Il Green deal. «La prossima legislazione ci porterà fin quasi al 2030 che è la prima grande data per rispettare l’impegno emissioni zero entro il 2050.
È una legislazione in parte criticata in alcuni paesi europei, che però sta cambiando il sistema produttivo e bisognerà verificarne lo stato d’applicazione».