Il 12 e il 13 alle urne
Elezioni regionali, chi sono i favoriti in Lazio e Lombardia

Da diversi anni, le elezioni politiche hanno dato risultati sempre differenti, anche in misura notevole. Una volta vince un partito o una coalizione, un’altra volta vince la parte opposta e un’altra volta ancora non vince nessuno. E così diversi leader si sono succeduti al potere, inizialmente con grande successo per vedere poi – è accaduto in molti casi – una rapida discesa dei propri consensi. La democrazia dell’alternanza in Italia sembra produrre piuttosto semplice instabilità che governabilità, cioè la realizzazione delle riforme necessarie per il paese.
In buona parte, questo ondeggiamento è dovuto al comportamento elettorale: si è ripetutamente notato che i cittadini sono molto “mobili” nelle loro scelte di voto, che cambiano spesso preferenza e che il tutto provoca un mercato elettorale molto “fluido”. Un tempo, durante la cosiddetta “Prima Repubblica” era l’opposto. Le elezioni davano risultati sempre simili, senza grandi spostamenti nel seguito delle diverse forze politiche. Ciò accadeva anche perché gli elettori – diversamente da oggi – esprimevano sempre più o meno la stessa scelta, motivata da una sorta di sentimento di “appartenenza”, di “identità”. E anche i partiti, protagonisti della competizione politica, erano più o meno sempre gli stessi. I risultati elettorali erano quindi facilmente prevedibili, certo più di oggi.
Ma da cosa dipende invece la scelta di voto dell’elettore oggi? Quali fattori spingono a optare per l’una o per altra forza politica?Naturalmente, le motivazioni possibili sono molte e variegate. Come abbiamo detto, appare tramontata del tutto (o quasi) l’appartenenza ideologica. Anche se rimane relativamente diffusa l’identità di destra, sinistra o centro, che sono anche spesso le etichette con le quali si presentano i partiti sul mercato elettorale. Certo, questi termini non hanno più il significato netto di un tempo, e nemmeno il riferimento chiaro alle classi sociali che una volta costituivano il supposto zoccolo duro di questa dicotomia. Oggi destra e sinistra evocano contorni e contenuti meno definiti, talvolta evanescenti, come qualche forma di giustizia sociale o l’essere in un modo o in un altro favorevoli all’Unione europea o varie altre cose ancora. Tuttavia, l’appartenenza a uno schieramento resta un fattore che influenza significativamente la scelta elettorale. Tanto è vero che, malgrado la mobilità crescente del comportamento di voto, i passaggi da uno schieramento all’altro sono relativamente poco frequenti e la scelta avviene, nella maggior parte dei casi all’interno di quest’ultimo.
L’unica eccezione è stata nel 2018 con l’apparizione e il successo di una forza trasversale alla dimensione sinistra-destra come il M5S che a suo tempo seppe attrarre suffragi da tutto l’arco politico, ma che oggi, persi la gran parte di quei voti, è collocato saldamente nell’area della sinistra. Al netto dello schieramento, una delle motivazioni principali della scelta di voto è diventata, com’è evidente, la figura del leader. Non che durante la cosiddetta Prima repubblica il leader politico non fosse rilevante, e soprattutto a sinistra, basti pensare a Togliatti e a Berlinguer, ma l’elettorato appare oggi piuttosto propenso a valutare il leader – meglio se carismatico – piuttosto che il partito, il quale è diventato spesso una semplice propaggine del leader. Salvo poi a disamorarsi più o meno rapidamente di quest’ultimo. Ciò spiega in misura variabile il successo (e la susseguente caduta) di figure come Berlusconi, Salvini, Renzi e altri ancora. E ciò spiega il successo (per ora) di Giorgia Meloni.
In parte correlato al fattore della leadership, si trova l’elemento della novità. Si tratta, in realtà, di una componente diventata sempre più rilevante negli ultimi tempi. Esaurito ormai il vincolo dell’appartenenza o dell’identità di partito, l’elettore, perennemente insoddisfatto per un motivo o per l’altro, dall’operato di chi governa (o, di converso, persuaso da chi riveste un ruolo importante all’opposizione) cerca perennemente una “novità” che lo convinca di più. E passa così da un leader all’altro, nella speranza (regolarmente poi delusa) che sia “diverso” dai suoi predecessori. C’è poi il fattore – anch’esso accresciutosi di importanza negli ultimi anni – della “single issue”, vale a dire di un tema o di una rivendicazione specifica su cui si concentra gran parte della comunicazione del partito o, più spesso, del leader e/o che è rivolta a portatori di uno specifico interesse.
I programmi dei partiti, beninteso, sembrano contare assai poco: pochi li considerano e, apparentemente, dicono quasi sempre le stesse cose. E per di più, il più delle volte, sono espressi in “politichese”, poco comprensibile e attrattivo per l’elettore medio. Le singole proposte – o meglio qualche singola proposta – invece sembrano avere più efficacia, specie se ripetute in modo insistente e continuativo. Un esempio significativo in questo senso è costituito dalla rivendicazione dell’intoccabilità del reddito di cittadinanza, sulla quale si è di fatto concentrata la campagna del M5S (e di Conte in particolare) in occasione delle ultime elezioni politiche e che ha permesso di raccogliere una quantità rilevante di voti da parte soprattutto dei beneficiari di questo provvedimento residenti al Sud.
L’emergere sempre più accentuato di queste motivazioni di voto negli ultimi anni e il decadere di quelle tradizionali della Prima repubblica hanno profondamente mutato il mercato elettorale del nostro (e di altri) paese e, specialmente, reso più rilevante l’uso di tecniche diverse di comunicazione, basate sempre più spesso sui sondaggi. Inoltre, la rapidità con cui l’elettore sembra cambiare la propria opinione ha suggerito ai partiti in campo un atteggiamento sempre più legato al presente – al momento immediato – e meno volto alle considerazioni strategiche e di medio periodo, caratteristiche di un tempo (e che sarebbero però necessarie per una migliore gestione del paese, ma al tempo stesso meno attrattive per l’elettore medio, volto a cercare corrispettivi immediati – in termini di vantaggi economici o sociali al proprio voto).
Naturalmente, il persistente mutare dei risultati elettorali in Italia a partire grossomodo dal ’94 non può essere ricondotto solo al progressivo cambiamento delle principali motivazioni di voto da parte degli elettori che abbiamo descritto sin qui. Esso dipende anche da svariati elementi di contesto, come ad esempio il mutamento quasi incessante della legge elettorale, che in Italia è molto instabile dalla fine del sistema proporzionale e la conseguente continua revisione delle alleanze fra i partiti – decisive praticamente con qualsiasi sistema elettorale sperimentato; nessun partito può vincere da solo e per vincere bisogna fare le alleanze giuste. Il fatto che la legge elettorale sia cambiata spesso negli ultimi anni è infatti di grande rilievo, poiché il meccanismo di aggregazione che essa pone in atto può facilmente modificare il risultato finale delle elezioni, soprattutto in un sistema multipartito dove l’elemento maggioritario, presente in tutte le leggi che si sono succedute dal ‘94 in poi, viene in certa misura “proporzionalizzato”.
E questo perché la necessaria formazione delle alleanze fra partiti politici introduce disproporzionalità nelle candidature tanto a favore dei partiti più grandi che di quelli piccoli, i cui voti sono necessari ai partiti maggiori per la vittoria della coalizione. Le prossime competizioni regionali, in Lazio e in Lombardia, potranno fornire qualche indicazione sull’evolversi delle tipologie di motivazioni di voto degli elettori, anche se il contesto regionale differisce per molti versi da quello nazionale. Ma, certo sarà importante considerare il posizionamento – e la capacità di attrazione – delle diverse forze politiche. Ma la vera scadenza importante per l’analisi del comportamento elettorale è costituita dalle elezioni europee del 2024, che avranno luogo in base ad una legge proporzionale. I risultati di quella consultazione porranno le basi delle future coalizioni e degli equilibri del nostro sistema politico.
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