Poche nazioni hanno avuto a che fare con così tanti travagliati attraversamenti del Rubicone come quelli che hanno caratterizzato la storia moderna del Regno Unito. Dopo lunghi periodi di relativa quiete, il panorama politico del paese ha subìto tre cambiamenti profondi che hanno rimodellato il corso della nazione negli ultimi 75 anni. Ogni volta la trasformazione ha inaugurato una nuova era. Prima, nel 1946, la sconfitta di Sir Winston Churchill portò Clement Attlee al potere aprendo la strada allo Stato sociale. Poi, nel 1979, calò il sipario sull’esperimento di sviluppo guidato dal Labour e si aprirono le praterie per Margaret Thatcher all’alba dell’ortodossia neoliberale e del libero mercato. Il successivo snodo cruciale arrivò con la vittoria del New Labour di Tony Blair nel 1997, che di fatto chiuse il capitolo del thatcherismo.

Oggi il Regno Unito si trova a un altro bivio, pronto per l’ennesimo cambiamento significativo. Dopo 14 anni di grande agitazione, il lungo regno del Partito Conservatore sembra essere ormai al capolinea. Nessun partito che ha governato per così tanto tempo può scaricare la colpa sugli altri per le difficoltà del paese. La nazione affronta le sue sfide più gravi dai tempi dello scontro di Thatcher con i sindacati nel 1979. La crescita economica e della produttività sono stagnanti dal 2010, il carico fiscale è al livello più alto dalla Seconda guerra mondiale, il debito pubblico rispetto al PIL è il più elevato degli ultimi 60 anni. I servizi pubblici sono sotto pressione. Il Servizio Sanitario Nazionale è paralizzato, tanto che – secondo alcuni studi – per smaltire le liste d’attesa servirebbero 685 anni. Le forze di Difesa sono al limite. Le strade sono piene di buche e questo è un elemento emblematico del degrado generale lasciato dai Tories.

Come da previsioni, i conservatori puntano il dito contro i fattori esterni per cercare di scaricare le proprie responsabilità. Quindi imputano la colpa alle conseguenze della crisi finanziaria, all’impatto della pandemia sulle finanze pubbliche e all’invasione della Russia in Ucraina. Ma in realtà la gran parte delle colpe è esclusivamente dei conservatori. Il peso e la durata dell’austerità non erano necessari; l’ex Cancelliere George Osborne avrebbe potuto dare retta alle tesi di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi contenute nel libro “Austerity”, in cui si mette in evidenza come siano controproducenti tagli di spesa così forti. Si tratta di una politica fiscale brutale che spesso porta a livelli di debito ancora più alti a causa della crescita del PIL più debole e delle entrate fiscali più basse.

Il breve mandato di Liz Truss nel 2022 ha aggravato la situazione, scatenando una crisi sui mercati finanziari con i suoi sconsiderati tagli fiscali senza coperture. I tassi ipotecari non si sono ancora ripresi. La Brexit, la politica distintiva dell’era Tory, è stato un atto catastrofico di autolesionismo politico ed economico. Dal 2010 il Partito Conservatore ha spesso dato priorità alla gestione dei suoi conflitti interni piuttosto che concentrarsi su un’efficace azione di governo. Così ha finito per penalizzare nazione. Certamente il Partito Laburista, sotto la guida di Sir Keir Starmer, ha i suoi difetti. Ma va detto che negli ultimi quattro anni ha effettuato il passaggio da gruppo disorganizzato (che proponeva vecchie politiche interventiste) a forza di governo credibile. L’attenzione riservata alla crescita è importante. Anche perché elementi come stabilità e competenza sono stati tragicamente assenti nel Regno Unito per troppi anni. Non mancano comunque alcuni fattori che destano preoccupazione, a partire dai legami storici con i sindacati che meritano un’attenta valutazione.

Il partito potrebbe presto trovarsi di fronte a scelte difficili tra profondi tagli alla spesa pubblica, modifica delle regole fiscali e aumento delle tasse. Il suo lodevole impegno per affrontare le questioni sociali potrebbe portare a spese sconsiderate e ad aumenti fiscali dannosi per l’economia. A parole vengono rimarcate le buone intenzioni per sostenere chi crea ricchezza, ma alla fine un governo laburista potrebbe colpire proprio loro. Le decisioni politiche raramente sono perfette e semplici. Come osservò una volta Bismarck, la politica è l’arte del possibile. Sir Keir dovrà affrontare l’arduo compito di attuare riforme cruciali tra due fuochi: da una parte i limiti delle varie basi di potere; dall’altra le elevate aspettative dell’elettorato. L’Europa e l’Occidente hanno bisogno di un Regno Unito forte, stabile ed efficiente. Il ruolo del paese come baluardo dei valori democratici e liberali rimane essenziale. La nazione si prepara a fare i conti con la storia; bisognerebbe rivolgere i migliori auguri a Sir Keir Starmer, che si appresta a prendere il timone per una difficile navigazione in acque ancora inesplorate.

Natale Labia

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