Anche a Londra, come a Parigi, le elezioni sono arrivate improvvisamente, prima del previsto. Ci si aspettava che il rinnovo della Camera dei Comuni sarebbe avvenuto in autunno e invece Rishi Sunak ha convocato le “snap elections” il 4 di luglio. Anche a Downing Street, insomma, l’idea è stata quella di provare la “variante di Sanchez”: anticipare le elezioni per provare a rimontare una situazione elettoralmente disperata. A urne aperte, tutti gli osservatori concordano che non sia stata una buona idea: nell’attesa dei primi sondaggi, nelle redazioni di tutti i giornali britannici gli osservatori concordano che l’unico nodo da sciogliere sia la dimensione della vittoria che questa mattina porterà Keir Starmer a Buckingham Palace perché re Carlo III gli chieda di formare il suo nuovo governo.

Il ruolo di architrave

Finirà così, in modo quanto inglorioso lo si sarà saputo da qualche ora, un dominio conservatore lungo 14 anni segnati da 5 primi ministri, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, una pandemia e svariati scandali collegati. Con i Tory fuori dalle stanze del potere e seriamente minacciati di essere svuotati da destra e geneticamente modificati in un modo che ricorda da vicino il destino che negli Stati Uniti ha devastato il Partito Repubblicano, trasformando quello che fu il nobile Grand Old Party in un’accolita di cospirazionisti, millenaristi ed eversori del sistema. I conservatori non rischiano di perdere solo il governo, insomma, ma di smarrire per sempre quel ruolo di architrave del sistema che da sempre rivestono da quelle parti: il partito dell’establishment, il partito delle classi dirigenti, il partito della stabilità e della responsabilità ha perso la sua credibilità. L’azzardo di Cameron, le incertezze di May, l’irresponsabilità di Johnson, lo sfacelo di Truss e l’evanescenza di Sunak rischiano di costare alla destra conservatrice britannica non solo in termini di una tornata elettorale ma di una permanente marginalizzazione a tutto vantaggio dell’estrema destra di Nigel Farage.

Il messaggio di responsabilità

Allo stesso tempo, anche la vittoria di Starmer sembra avere tutte le caratteristiche di qualcosa in più di un semplice cambio di governo. I laburisti, sotto la sua leadership, hanno puntato tutto sul conquistare non soltanto il potere ma un ruolo di architrave della stabilità e della sicurezza del paese, rafforzata anche dal successo che tutte le previsioni assegnano al Labour in Scozia e che rinforzerà di conseguenza l’unità nazionale e il senso non solo politico ma istituzionale dell’esito elettorale. Starmer arriva al potere non sull’onda dell’entusiasmo pop che circondava Tony Blair e la sua “Cool Britannia”, ma con un messaggio di responsabilità e di pragmatismo. L’ex Procuratore della Corona ha dalla sua il lavoro fatto nel suo partito, sottratto al radicalismo di Jeremy Corbin – un uomo popolarissimo tra i suoi sostenitori ma assolutamente incapace di espandere il proprio consenso fuori da quel perimetro, come dimostrò l’esito disastroso delle elezioni del 2019 – e riportato a un riformismo che ha restituito ai laburisti la fiducia del paese.

L’etica della responsabilità

In queste elezioni addirittura il Sun, il tabloid più diffuso e popolare del Regno, ha espressamente dato indicazione di voto per la sinistra: una cosa che non si vedeva appunto dall’epoca di Blair. Starmer ha ripulito l’immagine del Labour dai sospetti di antisemitismo che avevano macchiato la reputazione di un’intera comunità, ha riaffermato la piena adesione ai valori occidentali e il sostegno incondizionato all’Ucraina; ha indicato una soluzione per la crisi israelo-palestinese che preveda sia il cessate il fuoco che il rilascio degli ostaggi e il riconoscimento della Palestina come parte integrante di un processo che preveda che Israele sia protetto e al sicuro; un rapporto più stretto e più efficiente del Regno Unito con l’Unione europea, e una politica economica che non preveda tagli di tasse senza coperture (citofonare Truss) e che sostenga i ceti più deboli mettendo al tempo stesso in primo piano la competitività delle imprese (con le quali ha recuperato un rapporto di fiducia che non esisteva durante la gestione precedente).
Insomma, un solido programma riformista che ha restituito alla sinistra una cultura – e adesso anche una pratica – di governo cui aveva completamente rinunciato sotto la leadership ideologizzata e movimentista di Jeremy Corbyn. È un metodo infallibile: quello che accomuna tutte le sinistre che, a ogni latitudine, siano arrivate al governo e messe in condizione di cambiare in meglio la vita dei propri cittadini. Concretezza, pragmatismo, quella che Max Weber chiamava “etica della responsabilità”. Keep up the good work, Mr Prime Minister.