Chiunque vinca, non sarà più la stessa America e la spocchia europea può andare in pensione: quella che ci ha permesso di essere sofisticatamente o sguaiatamente antiamericani. Speriamo che vinca Kamala Harris e che impari alla svelta assistita da tutors e un deep State coi controfiocchi: la sua politica sarebbe di continuità nel legame speciale con l’Europa, ma non facciamo finta di crederci.

Distacco brutale o graduale

Il distacco sarà brutale o graduale con cortesia: se vince Trump sarà brutale, l’America si chiuderà in casa, America First, e guarirà dal vizio di spendere per la sicurezza europea. Se vince Trump, per l’industria tedesca sarà un’ulteriore mazzata e la Germania rischia l’insignificanza, così come la rischiano le nostre industrie del nord est che lavorano per i tedeschi. Prepariamoci a un mondo nuovo che non sarà il Mondo Nuovo ma un altro mondo in cui le cyber navette di Elon Musk competeranno con quelle cinesi. La Harris può permettersi di essere più vaga e rassicurante, ma i dati di partenza sono gli stessi. Agli Stati Uniti interessa, sia come nemico che come partner, soltanto la Cina. Noi siamo appena quel che meritiamo di essere.

Il cordone con l’Europa

Ma chiunque vinca fra i due, sarà comunque vincitore il principio del trumpismo – già accarezzato dalla Harris – che taglia il cordone ombelicale che ha nutrito l’Europa. Una vittoria personale di Trump potrebbe mettere tutti gli europei, noi italiani recalcitranti per primi, nella necessità di veder schizzare alle stelle le spese di difesa dell’Europa. Se sarà Kamala Harris a conquistare White House, questo processo avverrà al rallentatore, ma avverrà. L’America attraverserà intanto e inevitabilmente una fase di turbolenze: “Io oggi vedo Trump come un vera aberrazione della nostra storia, un uomo il cui disprezzo per la democrazia costituzionale lo rende un’unica minaccia alla nazione” scriveva ieri sul New York Times lo storico Jon Meacham.

Focus su Cina e lezioni a Russia e Iran

Gli Stati Uniti sono attraversati da un brivido di guerra civile che è ciclico e antico: sono un pianeta che si riproduce sfavillando e divorandosi, ma più instabile della nitroglicerina, come dice George Friedman. Non sappiamo che cosa accadrà e davvero non sappiamo che cosa accadrà in America e di conseguenza in una Europa abituata a filosofeggiare sul Titanic con un prosecco in mano. Quindi, prima ancora di emettere un sospiro di sollievo o di disperazione di fronte alla scelta americana, faremmo bene a prendere di petto la questione della nostra consistenza europea, perché la mamma d’Oltreoceano ci sta abbandonando e siamo bambini ormai grandi da molti anni. I laboratori di politica estera americana stanno considerando l’ipotesi di far rigare dritto la Cina, dando una severissima lezione a Russia e Iran, i suoi attuali cattivi compagni di strada. È solo un’idea, ma di gran moda. Da citare solo per dire che è arrivato il momento in cui noi, dentro l’Europa e con l’Europa, cominciamo a pensare in grande.
E alla svelta, perché sia per Kamala che per Trump siamo in via di estinzione e il lupo ci mangerà.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.