Il 5 novembre gli americani voteranno e sapremo quale sarà il destino del mondo intero. Non era mai accaduto che le sorti dell’umanità, amica o nemica degli Stati Uniti, dipendessero da un’alternativa solo americana. Ai tempi di un altro Impero, quello Romano, era in voga la massima ad utrumque paratus: sono pronto ad accettare qualsiasi futuro, come va, va.

Ma ai cittadini americani non importa affatto determinare il futuro degli altri, sia che vinca Kamala Harris o che torni Donald Trump. Trump invecchia visibilmente, ancor prima degli ottanta: iroso, mentitore, affabulatore sempre prolisso e spesso incomprensibile. Ma sembra prevalere sulla Harris anche se tutti sanno che si tratta di un vantaggio fragile e volubile. Quanto alla Harris, l’attuale vicepresidente in corsa per la Casa Bianca, si rifiuta di far conoscere se e quali idee economiche abbia. In compenso sproloquia ormai ogni giorno sul diritto di portare le armi, come un repubblicano. Ha voluto rilanciare la sua prima gaffe quando disse: “Sì, ho una pistola e se qualcuno mi entra in casa gli sparo”. E ora non manca giorno che non difenda il diritto di ogni cittadino a portare le armi secondo la legge del West e del secondo emendamento della Costituzione.

Lo stato d’animo degli elettori

Gli elettori sono sempre più divisi da rancori profondi ma guardano con trepidazione al prezzo dei carburanti, del burro e delle uova.  Eppure, da loro dipenderà la misura, per fare un esempio, di quanto dovremo aumentare la quota di Pil destinata alla difesa militare e dunque le tasse. Se vince la Harris, avremo forse un inasprimento con la Russia, finora raffreddato dal presidente Joe Biden. Ma anche la Harris è priva di qualsiasi vocazione imperiale. È dai tempi del presidente Bill Clinton che il cosiddetto impero americano si è smantellato dei suoi attributi imperiali, cari invece a Vladimir Putin, al cinese Xi Jinping e persino al turco Erdogan che rammenda brandelli dell’Impero Ottomano. Gli americani hanno in poco più d’un secolo disfatto gli altrui imperi, compreso quello inglese anche se ebbero per mezzo secolo una vera colonia, residuato di guerra coloniale contro la Spagna, le Filippine. Ma decisero di disfarsene alla svelta.

Le sconfitte nel Vietnam, Iraq e Afghanistan hanno sradicato la vecchia idea di esportare la democrazia e ha visto fiorire quella dell’isolazionismo felice: “che si fottano tutti, purché non sia un danno per noi”. Donald Trump promette una forza militare invincibile e invisibile, giusto quanto basta per scoraggiare il resto del mondo perfino se coalizzato. Con lui finirebbe l’epoca della carica del “Settimo cavalleggeri” al grido di “arrivano i nostri”. La Harris sarebbe più tradizionalista, dunque, ma forse più lesta – non solo metaforicamente – a mettere il dito sul grilletto come hanno già fatto donne come Golda Meir, Indira Gandhi, Margaret Thatcher. Chiunque dei due vinca dovrà vedersela con l’Asse della resistenza contro il mondo occidentale, promosso da Russia, Iran e dalla Cina. Sapremo di più, o almeno lo speriamo, il 6 novembre. I geopolitici prevedono nuovi focolai di guerre, ma siamo ormai anche noi ad utrumque parati, preparati a dire come va, va.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.