Tra la data di scioglimento delle camere e lo svolgimento delle elezioni occorrono circa 55-60 giorni. Il minimo di legge sarebbe 45, ma l’introduzione del voto estero ha allungato i tempi. Quindi per votare a fine giugno (che sarebbe comunque problematico a causa delle scuole chiuse da qualche settimana) bisognerebbe sciogliere le camere a inizio maggio. Ciò è impossibile. Il referendum costituzionale, a differenza di quello abrogativo, non è rinviabile una volta indetto e si svolge il 29 marzo. Servono circa quindici giorni per la proclamazione dei risultati, la promulgazione del Presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta; poi scattano altri quindici giorni per la vacatio legis prevista dall’articolo 73.3 della Costituzione. Già così si arriva a fine aprile.
A quel punto scatta la delega legislativa della legge 51/2019 (Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari) che comporta uno schema di decreti, un parere parlamentare entro quindici giorni e i decreti definitivi: anche volendo non utilizzare tutti i due mesi, è impensabile non usarne almeno uno.
Quindi saremmo già almeno ai primi di giugno. Inoltre, la legge costituzionale sulla riduzione dei parlamentari prevede all’articolo 4 che non si possa comunque votare coi nuovi numeri prima di 60 giorni dall’entrata in vigore, che in sostanza coincidono coi tempi della delega. Per cui, se anche si volesse esercitare la delega in un mese ne passerebbe comunque un altro a causa di quella norma. Quindi prima di fine giugno non si può comunque sciogliere. Ecco perché non esiste nessuna finestra elettorale prima di settembre.
(Questo è lo scenario in caso di vittoria del Sì, che appare al momento assai scontata).