Tra i tanti primati attribuibili al candidato repubblicano Donald Trump, c’è anche quello di aver usato – per la prima volta nella storia – l’IA come verbo. Lo ha fatto su X, accusando la sua rivale Kamala Harris di aver “AI’d it!”, ovvero falsificato le fotografie di folle ai suoi comizi usando l’Intelligenza Artificiale generativa (GAI). A differenza delle tecniche di fotoritocco storicamente utilizzate dagli staff politici, gli strumenti dell’IA generativa consentono anche ai principianti di creare falsi convincenti in pochi istanti con pochi tasti.

Harris però non aveva falsificato proprio nulla. La folla era reale perché, incrociando fonti diverse (l’unico modo, oggi, per verificare notizie a rischio di falsificazione), si può concludere con certezza che è stato Trump a mentire: sia l’AP che Getty hanno realizzato numerose riprese del raduno al comizio della candidata democratica da più angolazioni. Fonti di notizie locali hanno pubblicato video della folla presente e i giornalisti di diverse testate, tra cui il New York Times, hanno riferito i loro resoconti. Insomma, più fonti indipendenti che mostrano lo stesso evento da più angolazioni hanno molte meno probabilità di essere coinvolte nella stessa bufala. Eppure l’affermazione di The Donald è diventata immediatamente virale insieme alla ragione (sempre falsa) addotta dallo stesso tycoon: le foto non erano autentiche in quanto non si vedeva il riflesso della folla sulla fiancata dell’aereo di Harris. In realtà la spiegazione era banale: l’aereo era disposto in modo tale che la folla non si sarebbe mai potuta riflettere.

I precedenti dell’IA generativa: la telefonata di Biden

Ma prima di questa querelle sono stati molti gli incidenti di alto profilo in cui l’IA generativa è stata utilizzata per ingannare. Per citarne solo alcuni: l’audio sintetico di un candidato sindaco di Chicago che approva la violenza della polizia, il presidente Joe Biden che chiama gli elettori del New Hampshire e li esorta a non partecipare alle primarie democratiche nel loro Stato. O immagini false come quella di Trump che posa con sostenitori neri oppure tratto in arresto.

“I deepfake dell’IA minacciano di sconvolgere le elezioni globali. Nessuno può fermarli”, si leggeva in un titolo del Washington Post ad aprile. E a settembre, appena due mesi fa, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato di aver interrotto un’operazione di influenza russa nota come “Doppelgänger“, sequestrando 32 domini web utilizzati per diffondere propaganda filo-russa e imitare siti di notizie autentici, tra cui il Washington Post.

L’inganno per gli elettori

Insomma, da un lato le accuse – anche eclatanti – che abbiamo sentito muovere a Kamala Harris dall’ex presidente Usa, durante la campagna elettorale, fanno leva su paure e incomprensioni diffuse (e, purtroppo, verosimili) sull’affidabilità delle informazioni online nell’era dell’IA. E infatti, per mesi, il pubblico era stato avvisato di aspettarsi un’ondata di inganni alimentata da GAI che avrebbe sconvolto le elezioni in tutto il mondo. Dall’altro, le ragioni per cui quelle accuse attecchiscono e fanno proseliti sono più profonde e da ricercare non nella politica ma nella psicologia e nella biologia.

La supercazzola di Miguel Bosé

Le stesse che scattano quando il famoso cantante spagnolo Miguel Bosé, per spiegare le violenti alluvioni che hanno ucciso in Spagna centinaia di persone negli ultimi giorni, ha detto: “Sono stati i poteri forti con l’ingegneria climatica, le scie chimiche e l’Haarp”. Una supercazzola, insomma. La comunità scientifica ha spiegato invece che si è trattato di Dana, acronimo di depressione isolata a livelli elevati. Ma il giornalista Emilio Mola su IG si chiede quanto sia difficile “capire le ragioni scientifiche dietro le alluvioni di questi giorni? Per comprenderle dobbiamo intanto leggere lunghi, noiosi e complicati articoli, sapere cos’è una corrente ascensionale, un anticiclone, un’arca di alta pressione. Dobbiamo conoscere le ragioni del cambiamento climatico, capire e accettare che siamo causa e parte di un problema. E magari stravolgere le nostre vite per evitare che si ripeta in futuro. Dobbiamo accettare il caos del mondo atmosferico che si muove sopra di noi”.

Ecco perché Trump funziona

Poi c’è Miguel Bosé che ci dice: “Ehi, non c’è niente di complicato. E non è colpa tua. La colpa è dei poteri forti che schiacciano un bottone, attivano l’Haarp e fanno accadere catastrofi”. Fine. Ecco perché “Trump funziona”, prosegue Mola: perché questa tecnica, che lui ha elevato a sistema, “semplicemente funziona”. Avete mai sentito Trump dare, a qualsiasi problema, una risposta o una soluzione articolata, complessa, moderata? Mai. Cambiamento climatico? Complotto. Serve più petrolio. Criminalità? Colpa degli immigrati. Troppi delinquenti? Più armi. Immigrazione? Muro e deportazione. Sconfitta elettorale? Brogli. Conflitto in Ucraina? Si risolve in 24 ore. Economia? Dazi e meno tasse”. Ognuno di questi problemi, e tutti gli altri, sono ovviamente dovuti a cause estremamente complesse. Ma quanto è faticosa la complessità? Anche questa risposta uscirà fuori dalle consultazioni Usa meno prevedibili del Dopoguerra.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi