La sensazione ai piani alti è che vinca Trump. Non è soltanto una questione di numeri e voti, ma di nervature che attraversano la classe media. I Dem, Kamala per prima, convincono poco sulla loro reale volontà di rendersi impopolari di fronte alla sinistra-sinistra classica. Kamala si è ridotta a dire in modo perbenista le stesse cose che Trump dice a ceffoni, male parole. Tuttavia, i centesimi di punto nei sondaggi davano ieri Trump in leggerissima perdita. Ma il tema caldo è sempre uno: stabilità, crescita, vita sicura con la richiesta di legge e ordine.

I due contendenti stanno a un’incollatura. Lei è la speranza di tutti quelli che si suiciderebbero pur di non rivedere “The Donald” tornare a White House ma vale il contrario: una fascia democratica che non ama Trump ma non tollera Kamala (anche perché la prendono in giro tutti). A qualsiasi domanda, risponde: “Be’, io sono nata nella middle class e dunque conosco i problemi della middle class”. È il suo ritornello con cui cerca di togliere terreno a Trump e Vance. E poi prosegue con scoppi di risa improvvisi che l’hanno resa ormai un personaggio richiestissimo in tutti gli show: cresce un’intera generazione di imitatrici, e purtroppo lei è diventata un personaggio buffo della politica. Non perché sia stupida (come sostiene Trump, che molto brutalmente le dà della cretina) ma perché i suoi istruttori le hanno ordinato di non avventurarsi mai nei significati specifici, non dare cifre, non promettere nulla e restare a galleggiare sul vasto tema della “middle class” che costituisce il vero esoscheletro degli Stati Uniti.

Peccato che si tratti dello stesso elettorato che le contende Donald Trump, il quale domenica si è trasformato in una sorta di caricatura proiettiva di se stesso: ha urlato, si è inviperito, sdegnato, incupito durante una specie di festa di Halloween repubblicana a Madison Square Garden. Qui, a Manhattan, si sono radunati tutti gli elettori col berretto MAGA ad ascoltare il loro candidato che giorno dopo giorno modifica il suo linguaggio, in maniera talvolta oscura e minacciosa, talvolta giocosa ma con poca logica. Le indagini sulle intenzioni di voto sono sempre le stesse: metà e metà, Trump e Harris alla pari.

Perché tanta furia? Per causa, o colpa dell’ex collaboratore John Kelly il quale aveva sostenuto la Harris nell’etichettarlo come “fascista”. L’aggettivo fascista gode di una sua popolarità in ogni angolo della terra e vale per qualsiasi comportamento autoritario, ma Trump era furioso perché John Kelly, suo ex collaboratore, lo aveva accusato di preparare una lista di proscrizione con cui eliminare, licenziare, far arrestare o fuggire tutti i suoi nemici e detrattori. Questa forma di regime corrisponde ad alcuni tratti dei comizi di Trump che sono pronunciati con aria torva e sceneggiati con bullismo. Una cosa del genere non era mai accaduta, cioè che si desse del fascista a un pretendente ed ex titolare della Casa Bianca.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.