I referendum popolari
Elezioni USA, non solo presidenziali: in vari stati legalizzata la cannabis per uso creativo
L’incertezza che ha caratterizzato le elezioni presidenziali negli Stati Uniti non ha toccato la voglia di dire basta alla “guerra alla droga” in quel paese. Grazie a varie proposition, iniziative popolari, a livello statuale votate il 3 novembre scorso, alla legalizzazione della cannabis per uso medico e non, in Oregon si è aggiunta la depenalizzazione dell’uso e possesso personale di tutti gli stupefacenti proibiti. Ha votato a favore quasi il 60 per cento. Per un lettore italiano attento, o di una certa età, la riforma dello Stato della Costa occidentale dovrebbe suonare familiare: nel 1993, infatti, un referendum promosso nel nostro Paese dal Coordinamento Radicale Antiproibizionista fu vinto con percentuali leggermente inferiori a quelle di questo martedì (53 per cento) e, per la prima volta nella storia delle Nazioni unite, la depenalizzazione delle droghe avvenne per via popolare.
Se il 34,8% dei detenuti in Italia lo è per violazioni della legge sugli stupefacenti – la media europea è del 18% quella mondiale del 20% – nessun paese batte gli Usa, escludere il carcere per consumo potrebbe essere l’inizio di una nuova era. Secondo un recente studio della Drug Policy Alliance, ogni 23 secondi negli Stati Uniti una persona viene arrestata per motivi di droga, si tratta di afro-americani, latinos, nativi e generalmente di persone con basso reddito. Quello dell’Oregon diventa quindi anche un esperimento che potrebbe non solo evitare violazioni di diritti umani – le carceri Usa sono tristemente famose per la violenza che le caratterizza – ma anche fornire spunti per riforme generali dell’amministrazione della giustizia. Tra le sostanze il cui possesso di piccole quantità non sarà più perseguito penalmente ci sono anche i cosiddetti psichedelici. Quella dei funghi psicoattivi e delle metanfetamine, per uso terapeutico o di microdosaggi per accompagnare la quotidianità, sta diventando la nuova frontiera delle modifiche delle leggi sugli stupefacenti. Il cambiamento è iniziato a Denver che nel maggio 2019 è diventata la prima città statunitense a depenalizzare quelle sostanze, Oakland e Santa Cruz in California hanno seguito a ruota. Non si può ancora parlare di effetto domino come per la cannabis, ma la nuova tendenza riformatrice è ampliare le modifiche legislative a tutte le sostanze illecite partendo specie da quelle che non danno dipendenza come gli psichedelici. Quel che inizia in California diventa poi movimento a livello nazionale.
Sempre il 3 novembre, il New Jersey ha votato a maggioranza per legalizzare la marijuana per i maggiorenni, idem in Arizona, Montana e South Dakota portando a 15 gli Stati che, più la capitale Washington, regolamentano la pianta per uso non medico. Il Mississippi si unisce ai 33 stati che ne consentono l’uso terapeutico. Ci sono voluti 10 anni ma la strategia che ha portato alla legalizzazione della recreational marijuana alla fine ha dimostrato di essere vincente: raccogliere (molti) soldi, coinvolgere schiere di giuristi per definire, spesso in modo creativo, i quesiti da porre al voto, inondare gli Stati di informazioni on e off line (e nei campus), promuovere eventi e piccole reti di attivisti a livello locale per far crescere la consapevolezza dell’importanza delle riforme.
Se all’inizio del Terzo Millennio i riformatori più attivi erano prevalentemente i libertarian, mai troppo ben organizzati e comunque inadatti a collaborare con altri, e miliardari filantropi come George Soros o Peter Lewis, col passare del tempo la base di militanti e le disponibilità economiche si sono ampliate coinvolgendo persone direttamente colpite dalla “guerra alla droga” – donne, persone di colore e immigrati – e imprenditori della cannabis. Queste riforme stanno tra l’altro confermando, numeri alla mano, le previsioni dell’antiproibizionismo di Marco Pannella che dalla fine degli anni Sessanta, oltre a denunciare il carattere liberticida e criminogeno della limitazione di una libera scelta, proponeva la totale legalizzazione per consentire decisioni informate e aiutare chi sviluppa un rapporto problematico coi propri consumi, sottraendo il commercio delle droghe dalle mani della criminalità organizzata. Anche se nessuno dei due possibili inquilini della Casa Bianca s’è mai distinto per spirito riformatore, né il Congresso ha mai dato segni di particolare interesse a riforme federali in materia, negli USA è ancora possibile attivare strumenti di democrazia diretta. Là dove non arrivano i legislatori o le Corti può ancora arrivare il “popolo”, non è una misera soddisfazione ma un dato di fatto contro l’inerzia della politica.
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