Elezioni USA, Simone Crolla (American Chamber): “Se vince Trump due anni di free riding. Gli italo-americani? Votano Harris”

Mancano ventiquattro ore all’appuntamento con la storia. Gli occhi del mondo guardano a Washington. Chiediamo un pronostico a Simone Crolla, Consigliere delegato dell’American Chamber, la sede italiana di quella che potremmo definire Confindustria americana.

Pochi hanno il polso della febbre elettorale americana come l’American Chamber, qual è il suo pronostico della vigilia?
«Le previsioni oggi sono difficili. I due candidati sono a un’incollatura e a seconda dei sondaggi è di poco avanti Trump o Harris. A naso, se mi chiede cosa dicono i nostri referenti nel mondo del business, sento molto voglia di Trump: un cambiamento netto, con qualcuno che sappia riordinare le incertezze dell’economia».

Si schematizza nuovo-vecchio? Trump è stato alla Casa Bianca dal 2017 al 2021…
«Sono due déjà-vu, per un verso. Ma siamo di fronte a qualcosa di nuovo, per la storia americana. Se vince lui, nei 130 anni di storia dei presidenti, sarebbe la prima volta di un candidato sconfitto che poi torna a vincere. Se vince lei, è la prima volta di una donna, e per di più di una donna afroamericana. Lui però è percepito come disruptive, lei è vista come continuità con Biden».

Se Trump vincesse e vincesse forte, sarebbe davvero disruptive o sarà stata solo l’ennesima campagna elettorale infuocata?
«Se lui vincesse e vincesse forte, cioè con entrambi i rami del Parlamento a favore, vedo due anni di free riding: fino alla mid-term election, forte di una ampia maggioranza, potrebbe davvero implementare alla lettera le sue politiche, che magari non saranno così audaci come vengono annunciate. Non dimentichiamo il sistema americano dei pesi e contrappesi. E che molti repubblicani eletti non sono affatto loyal trumpist, e a quel punto farebbero emergere le loro differenze, guardando già al dopo-Trump».

Come votano e quanto contano gli italo-americani?
«È un cluster elettorale molto importante. Sono circa venti milioni gli italoamericani che votano negli Stati Uniti, ai quali vanno aggiunti circa cinque milioni che hanno il doppio passaporto e votano nel mondo. Molte decine di migliaia di italiani con la Green card in tasca hanno già votato. Da quello che so io, secondo le principali organizzazioni che li rappresentano, prevale il voto repubblicano. Sono più repubblicani che trumpisti. Si rivedono più difficilmente, per le loro storie imprenditoriali, nella Harris».

Forti i legami con il Gop di Ron De Santis…
«De Santis che a breve sarà in Italia per un giro di incontri istituzionali, tra l’altro. Un referente solido per le nostre comunità in America. E uno che potrebbe lavorare sin d’ora al dopo-Trump».

Che cosa converrebbe alle istituzioni italiane ed europee?
«La continuità con l’amministrazione Harris non dispiace alle istituzioni, soprattutto europee, e alla Nato. La discontinuità di Trump spingerebbe queste istituzioni a lavorare con un approccio nuovo, in qualche caso con una doccia fredda benefica. Quella che gli analisti americani prefigurano come “Wake-up call”: bisogna svegliarsi, gli Usa non possono stare sempre lì a disposizione per noi. Non credo però che Trump farebbe qualcosa contro la Nato se non andare alla ricerca di nuove risorse da parte di chi oggi contribuisce meno».

E per le aziende italiane? Al nostro export converebbe Harris, visti i dazi preannunciati da Trump…
«Trump si è autodefinito Tariff guy. Significa: uomo dei dazi. Sicuramente imporrebbe dazi e sanzioni su tutte le merci internazionali. Nell’ambito del suo primo mandato non abbiamo registrato grandi ripercussioni per il nostro export, con l’eccezione dell’acciaio. Il nostro export in Usa segna dei record pazzeschi, dal primo mandato Trump in avanti. Ma è da mettere in agenda un eventuale dieci per cento di dazio sui nostri prodotti. Negli ultimi venti anni le aziende italiane che si sono insediate negli Usa o che hanno acquistato aziende o rami d’azienda lì sono cresciute del 400%. Tra tutti i competitor europei stiamo investendo in percentuale più degli altri».

Aziende italiane che delocalizzano la produzione in Usa, senza produrre più da noi?
«Le nostre aziende stanno creando opportunità di lavoro in Usa, incentivate prima da Biden e domani forse da Trump. Le esportazioni di prodotti di eccellenza italiani, a partire da quelli alimentari, non possono risentirne vista la nostra unicità e il target a cui si rivolgono. Noi siamo molto convinti che le ottime relazioni Italia-Usa continueranno ad andare benissimo, non ne risentiremo. Gli Usa sono da sempre una grande democrazia e il rapporto con l’Italia, con le istituzioni e le imprese non sono mai state tanto forti come oggi. Comunque andranno le elezioni, andrà bene».