Sylvie Kauffmann, editorialista di Le Monde, ha scritto ieri che se vincerà Trump non sarà soltanto la sconfitta dell’Ucraina, ma la sconfitta dell’intera Europa: se lui vincerà vorrà chiudere quella guerra a modo suo, mettendosi d’accordo con Putin e a questa sfida l’Europa non è preparata. Trump e Putin, ecco il tema emerso dalla campagna elettorale americana.

Trump dittatore in carriera

Trump è stato intervistato in televisione e il giornalista gli ha chiesto: “Vogliamo parlare dei suoi rapporti segreti con Putin?”. E lui: “No, non ci penso per niente, dico solo che se li avessi avuti, dei contatti con Putin, sarebbe stato ‘pretty smart’, molto astuto, perché è importante in questo mondo conoscere più gente possibile”. “Quindi”, ha incalzato il giornalista, “lei non nega di aver avuto sette contatti personali col presidente russo Vladimir Putin durante questi anni in cui non è stato più presidente?”. Trump spiazza tutti, non rispetta alcuna regola nelle interviste, parla d’altro, racconta aneddoti a metà e del tutto fuori luogo, impedisce all’intervistatore di interromperlo alzando la voce e si comporta – giudizio non azzardato soltanto dai media liberal – come un dittatore in carriera.

Kamala Harris ricca sfondata teme Stati ballerini

Dall’altra parte Kamala Harris, che è ricca sfondata potendo spendere ancora un miliardo di dollari, si sente mancare la terra sotto i piedi perché, ammesso che il suo tenue vantaggio nel voto popolare tenga, sa benissimo che sono sette gli “swing States” – gli Stati ballerini che cambiano spesso voto passando dai democratici ai repubblicani e viceversa – che decreteranno la sua vittoria o sconfitta, come la Pennsylvania e il Winsconsin da cui la Harris deve ricavare in tutto 44 grandi elettori. Mentre per Trump la salita è più ardua perché ne deve conquistare 51. Per ora, e se tutto va bene, i Dem possono sperare in 226 grandi elettori e Trump sembra fermo su 219.

Gli americani di Trump…

Ma l’apparente solidità dell’elettorato democratico è finta. Rispetto a Biden, Kamala perde larghe fette di elettori tradizionali ma conquista frange di elettori disorientati: per ora ha imbarcato soltanto coloro che si sparerebbero pur di non rivedere Trump alla Casa Bianca e voterebbero chiunque. Ma, superato il primo impatto con la rinascita della speranza per la candidatura Harris, i progressi ulteriori non si vedono e lei ride, recita, ma non sa esprimere uno straccio di “vision” di cui invece sono affamati sia gli americani di colore che i bianchi poveri, i quali tutti sembrano in marcia verso le fila repubblicane perché Trump con il suo progetto di espulsione con l’uso dell’esercito di milioni, non migliaia, di lavoratori a costo zero, dà l’unico segnale politico di cui l’America è in cerca: un piano per garantire lo status di chi è già americano, e tenere le porte chiuse.

A questi americani non importa assolutamente nulla dell’Ucraina e della banditesca guerra di Vladimir Putin. Di qui la fredda logica di Trump: abbandonare l’Europa ai giochi delle sfere di “influenza”, continente diviso e straricco ma di manica corta nella spesa militare. Kamala, d’altra parte, dedica alla politica estera il minimo sindacale di attenzione e gareggia con Trump nella politica di sbarramenti delle frontiere, proprio lei che voleva depenalizzare il reato di espatrio clandestino.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.