C’è un positivo recupero di iniziativa politica del Pd, che esce dal torpore e riempie la piazza di Firenze. Se però intende governare la situazione esplosiva che si è creata, con la dicotomia tra voto degli iscritti e preferenze degli elettori (anche se, in realtà, decisivi per dare lo scettro sono stati i non-elettori), Schlein farebbe bene a non ascoltare troppo le sirene di certi suoi sostenitori euforici all’eccesso.

La convinzione di Marco Revelli è che “c’è vita a sinistra” perché “le opinioni” hanno smentito “il corpo militante”. Al popolino nessuno nega il ruolo per l’allestimento dei gazebo e lo svolgimento delle operazioni di voto. Ma il compito di pensare al generale spetta solo a chi ha il cervello addestrato e le dita prive di tratti callosi. Mentre gli elettori “hanno capito”, i cocciuti ed “esigui drappelli di iscritti” non hanno afferrato la verità. Secondo Revelli, è prevalso “l’elementare istinto di sopravvivenza” di illuminati che sono andati ai gazebo giusto per correggere i desideri insani dei tesserati.

Per fortuna gli abitatori delle regioni dello spirito hanno sacrificato briciole del loro tempo per “opporsi al corso delle cose” e correggere i militanti rimbecilliti avviati verso il naufragio. Le migliaia di iscritti sono detriti di storie passate e meritano l’oblio perché appartengono a un “partito delle tessere” sedotto dal particulare. Invece gli elettori, che solo per un “residuo di buona volontà civile” hanno rifiutato di riconoscersi nel voto dei militanti, sono i soli degni di appartenere al “partito delle opinioni”, che impedisce che il segretario del Pd sia quello preferito dal ceffo maleodorante degli iscritti.

Per Revelli la vittoria di un candidato voluto dai militanti sarebbe stata la prova più triste di “una vocazione dissolutiva”. E vanno perciò ringraziati i dotti membri del partito della pubblica opinione che hanno creduto nella possibilità di “redimere” gli erranti reagendo a “una situazione giudicata intollerabile” come quella uscita dai fallaci congressi. Lo schema di Revelli è: “Gazebo vs Sezioni, Opinione vs Tessere, Elettori vs Amministratori”. Da un lato stanno il bello, il giusto, il vero, “le opinioni” appunto, dall’altro il brutto, il cattivo, l’affarismo, insomma “le tessere”, che esprimono un “coacervo di gruppi d’interesse” sotto la regia spartitoria di sospette cariche elettive.

È allora interessante vedere qualche volto di chi ha liberato il Pd dalle trame mortali dei poteri locali. Quando nel 2020 uscì la copertina dell’Espresso con il volto di Elly Schlein, un topo di archivio, rifugiato nella torre d’avorio molisana, per annunciare la sua ultima scoperta genetico-filologica scrisse: “Ma che è, n’omo?”. Ebbene, proprio il luminare, che la Luiss si era lasciata strappare troppo facilmente per via di alcune ponderate considerazioni di politica migratoria (“la Sea-Watch va affondata, bum bum”, twittava), e che però l’ateneo ancora rimpiange per le grandi doti dimostrate nell’indagine storiografica sulle biografie degli scampati alla Shoah (dopo l’ennesimo attacco a Liliana Segre, la sua pagina social fu invasa dall’odio antisemita dei “follower”), ha annunciato che sarebbe passato ai gazebo inebriato dal sapore della novità (“io domani vado a votare per lei”).

Questi bei gesti, di raffinati eruditi che non rinunciano del tutto a conservare i tediosi legami con il mondo più prosaico, vanno ricordati, anche perché aiutano a cogliere la ragione profonda contenuta nel titolo di qualche giorno fa del “Manifesto”: “Gli iscritti non sono il partito”. E così il sottile pensatore che ha scorto in Ilaria Cucchi “la Segre dei poveri”, l’aspirante membro dell’Accademia della Crusca impegnato allo spasimo in un movimento per la riforma della grammatica teso a proibire l’uso dell’accento (“Ma cosa da (sic) a Liliana Segre il diritto di pontificare su tutto?”, cinguettava), figurerebbe ora tra coloro che hanno protetto il Pd dai pericolosi militanti.

Tra i salvatori del Pd dagli iscritti compare anche De Masi, ideologo semi-ufficiale pentastellato, protagonista delle rivelazioni estive su Draghi che avrebbe intimato a Grillo di rimuovere Conte, fondatore e direttore scientifico dell’ambiziosa Scuola di formazione politica dell’M5S. Il teorico dell’ozio creativo ha dichiarato: “ai gazebo c’è stata in effetti questa irruzione di gente come me, che non ho mai votato Pd”. I sondaggi svelano che, tra le file dei partecipanti, hanno rappresentato circa il 25% le persone che, proprio come De Masi, considerano il Pd un partito conservatore che mai voterebbero (“non vedo cosa ci sia di sinistra in Franceschini o in Bersani, che ha fatto le privatizzazioni”), e però sono lo stesso accorse ai gazebo a frotte, come vere e proprie truppe non cammellate (per carità, dietro non ci sono mica i sindaci o i presidenti di regione).

Si assiste, insomma, alla nascita di una sorta di partito mendace di massa, con sociologi, filosofi, giuristi, attivisti, femministe, pasionarie della Costituzione, militanti di altre forze politiche, tutti pronti ad attestare il falso, sottoscrivendo, come prevedono le regole del Pd, la dichiarazione di essere “elettori” di un partito che in realtà mai hanno votato in passato e forse in futuro mai sceglieranno. Ci sono, però, anche coloro che il consenso al Nazareno lo hanno già offerto e lo confermeranno. Sui social gira un post di Ernesto Bassignano che racconta una usuale domenica trascorsa insieme a Nanni Moretti: “Trovato al bar e poi andati al gazebo insieme a votare per Elly! Quivi abbiamo trovato anche il vecchio Taviani e Piovani… tutti per Elly”. Più che una sequenza tratta dall’atteso “Il sol dell’avvenire”, sembra un remake metropolitano della scena del mitico Alberto Sordi che fa il gestaccio ai “lavoratori”, questa volta però con la pernacchia rivolta dai professionisti della società civile ai terribili e novecenteschi iscritti del Pd.

Erano quattro amici al bar e volevano prendere in burla il mondo della militanza. E comunque conforta molto un Moretti autocritico. Stavolta non pensa più di cambiare i dirigenti, con i quali “non vinceremo mai”. Quelli a lui cari, come Franceschini, sostenuto già nel 2009, hanno sette vite, sono politicamente più longevi dei gatti (e anche, almeno così pensa il ras di Ferrara, dei fan di “Occhi di gatto”). Meglio dimenticare l’eco di piazza Navona. E quindi il passaggio ulteriore dell’inventore dei “girotondi” è quello di recuperare l’entrismo trotskista di una volta e mettersi a gridare: con questi iscritti non vinceremo mai. Ora che la marea dei non-elettori ha travolto non solo il partito delle tessere ma anche quello dei votanti reali, forse la nuova leader del Pd dovrebbe lanciare qualche messaggio. Anche qui, però, non andrebbe ascoltata troppo la descrizione di Concita De Gregorio, secondo la quale, con Schlein e la sua “rivoluzione senz’armi, senza testosterone”, non soltanto “cambia la politica”, ricacciando nell’ombra gli iscritti visti come una brutta “enclave di reduci”, ma “ruota l’asse cartesiano della realtà”.

Questa mutazione dello spazio e persino della “rotta della storia” rende inevitabile anche il cambiamento della misurazione del tempo, e così, scandisce l’editorialista di “Repubblica”,sono quasi vent’anni che Elly è sulla scena, andate a rivedere Occupy Pd”. L’evento, però, risale al 2013. Ci deve essere stata una trasmutazione così forte delle cose del pianeta che l’impatto non poteva lasciare intatto il calendario. Per via di questo scombussolamento spazio-temporale, la stessa Schlein è stata indotta a puntualizzare: “mi hanno molto colpita i messaggi di alcune donne di più di 100 anni che oggi sono andate a votare per me e che hanno detto che erano 90 anni che aspettavano di votare per una segretaria”. O è stato ritoccato il conteggio degli anni, con l’adozione di una variante di calendario “Giuellyano”, o andare indietro di 90 anni porta ancora al 1933. E all’epoca di gazebo non c’era ancora sentore.

Concentrandosi sul presente, la nuova segretaria incrocerà un partito che deve restituire identità e funzione agli iscritti. Nel suo “team”, come lo chiama, domenica si festeggiava cantando al ritmo di “Apri tutte le porte” e “Occhi di gatto”. A meno che non ci sia in quelle note un occulto messaggio per afferrare un’inattesa linea “gatto-comunista”, rimane da progettare il complesso lavoro di riorganizzazione di un partito d’opinione in cui sovrano è diventato il non-elettore. E, dopo la fase dell’“apertura delle porte”, per una forza politica della moderna socialdemocrazia viene anche il momento di tracciare dei solidi confini, culturali, ideali, sociali, strutturali, da presidiare per essere efficace nell’iniziativa.

Il nuovo post-Pd dovrebbe raffreddare l’impeto diciannovista della De Gregorio, che con la sua penna intima la resa “alle classi dirigenti, a Confindustria, a fantomatici poteri forti”. Nella sinfonia per la ribellione che stavolta parte dall’alto, e che dal centro intende conquistare anche le periferie alla causa del riscatto sociale, la firma di “Repubblica” avvisa a brutto muso “i miliardari che dal loro eremo dettano la linea”. E invita “magnati, editori, banchieri” a cominciare a tremare dinanzi alla “rivoluzione che non vedi arrivare”. Per costoro, con tutti i mezzi che hanno in tasca, non è più il tempo di “sterminare i rivoltosi, promuoverli, corromperli, imprigionarli”.

Dopo queste parole di fuoco già si vedono i padroni pieni di timore che minacciano la fuga dei capitali. Altri paperoni, più astuti, si convertono alla causa della rivolta, e con De Benedetti inneggiano alla “radicalità” rivoluzionaria. La nobildonna Beatrice Borromeo, frequentatrice assidua di casa Elkann, si inebria per la riedizione del biennio rosso, con l’assalto al palazzo ordinato dalla nuova “Iskra”, redatta, per l’occasione, dalle penne amiche della Gedi. È uno spettacolo, gli industriali che diventano sanculotti, i miliardari che fanno i bolscevichi. Anni interessanti si annunciano perché, scriveva Marx,se alla sommità dell’edificio dello Stato si suona il violino, come non aspettarsi che quelli che stanno in basso si mettano a ballare?”. E se poi le musiche sono di Piovani e la regia è di Moretti, sarà uno spasso vero vedere la schiera danzante che da Prati, passando per Monteverde, presto arriverà sino a Tor Bella Monaca.

Per il Pd, però, sarebbe un bene se Schlein resistesse alle sirene del partito Gedi, della tessera numero 1, del “Manifesto” e agli entusiasmi eccessivi. La porterebbero a sbandare. La cesura tra iscritti e mondo d’opinione, infatti, non è mai un motivo di festa. È un grande problema che non va rimosso. Se saprà far cicatrizzare con lucidità questa ferita, la sua leadership potrebbe restituire capacità di azione a un partito indispensabile per la tenuta della democrazia in Italia.