Elon Musk e l’Europa sembrano aver incrociato ancora una volta le spade, con la richiesta formale del Commissario Breton a X (precedentemente Twitter) e l’apertura delle indagini secondo Digital Services Act da parte dell’Europa. Al centro non c’è una faida personale, ma il conflitto tra due visioni del futuro di tecnologia e regolamentazione, dove la posizione di sfida Musk, soprattutto contrapposte alle azioni correttive implementate invece dagli altri Social, rappresenta una chiara sfida alle norme e ai valori dell’UE.

Una sfida che parte da lontano, fin dalla acquisizione di Twitter da parte di Musk e la sua successiva decisione di sciogliere il Consiglio di Trust e Safety, un organismo nato nel 2016 – composto da esperti e attivisti – che fornivano consigli vitali su questioni quali l’odio online, sicurezza dei minori, propaganda politica. La sua dissoluzione ha inviato un messaggio chiaro: X si sarebbe mosso in modo autonomo, senza l’input esterno che una volta era considerato essenziale.
La decisione poi di ritirarsi dal sistema europeo volontario di gestione delle fake news ha ulteriormente cementato questa percezione: mentre altre piattaforme si sono adattate e si sono impegnate a lavorare con l’UE, X ha scelto un percorso di resistenza.

Un percorso che, però, appare probabilmente poco oculato alla luce del Digital Services Act (DSA) dell’Unione Europea, un pezzo fondamentale di legislazione europea progettato proprio per proteggere gli utenti delle grandi piattaforme tecnologiche. Non una vera novità – il percorso è durato anni ed è legge dallo scorso novembre – ma con un periodo di “grazia” per permettere alle aziende di conformarsi da poco terminato, durante il quale X ha dato l’impressione di arrancare, rispondendo solo ad una frazione delle segnalazioni della Commissione.

Il confronto pubblico tra Musk e il Commissario Thierry Breton sulla gestione da parte di X delle segnalazioni di notizie false in seguito agli attacchi di Hamas su Israele, è solo l’ultimo tassello della sfida del magnate all’autorità regolamentare europea, dove anziché impegnarsi in un dialogo costruttivo, si è optato per una tattica di sfida aperta. Una sfida che può costare cara, perché la non conformità con il DSA porta a potenziali sanzioni che possono raggiungere fino al 6% del fatturato globale e, in casi estremi, di un divieto operativo. Divieto che potrebbe avere portata devastante non solo per X – sempre in una condizione economica precaria – ma per l’intero ecosistema delle piattaforme online.

E non si tratta solo di sanzioni, si tratta del principio e di volontà di azionare misure di tutela, da parte di una Europa che deve fare valere un framework di sovranità e diritti contro una azienda che non può probabilmente permettersi non solo la sanzione, ma l’esclusione dal mercato pubblicitario degli inserzionisti ed utenti europei. E se la storia serve da guida, possiamo aspettarci che l’Europa non indietreggi. E nemmeno Musk.

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Professore a contratto (in Corporate Reputation, in CyberSecurity e in Data Driven Strategies) è Imprenditore, ha fondato The Fool, la società italiana leader di Customer Insight, co-fondato The Magician un Atelier di Advocacy e Gestione della Crisi, ed è Partner e co-fondatore dello Studio Legale 42 Law Firm. È Presidente di PermessoNegato APS, l'Associazione no-profit che si occupa del supporto alle vittime di Pornografia Non-Consensuale (Revenge Porn) e co-fondatore del Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Digitali. È stato Future Leader IVLP del Dipartimento di Stato USA sotto Amministrazione Obama nel programma “Combating Cybercrime”, conferenziere, da anni presenta "Ciao Internet!" una seguita video-rubrica in cui parla degli Algoritmi e delle Regole che governano Rete, Macchine e Umani. Padrone di un bassotto che si chiama Bit, continua a non saper suonare il pianoforte, a essere ostinatamente Nerd e irresponsabilmente idealista.