La cronaca giudiziaria ci consegna, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, due casi giudiziari che a mio avviso dimostrano in modo lampante quanto sia assurda la regola che esclude la prescrizione per i reati puniti con la pena dell’ergastolo. Tra un mese saranno trascorsi 40 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ne sono addirittura trascorsi 48 dal conflitto a fuoco tra brigatisti e Carabinieri alla cascina Spiotta, dove persero la vita l’appuntato Giovanni D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio.

Apprendiamo che la Procura di Roma, in qualche modo -chissà quale- stimolata dal Promotore di Giustizia dello Stato Vaticano, ha riaperto le indagini, naturalmente contro ignoti, sul caso Orlandi; mentre il GIP di Torino ha accolto la richiesta di riapertura delle indagini a carico dell’ormai 82enne Lauro Azzolini, sospettato di essere il terzo uomo fino ad oggi mai identificato, presente alla sparatoria e dunque concorrente nell’omicidio dell’appuntato D’Alfonso.

C’è un’altra singolarità che accomuna queste due sorprendenti riaperture (riesumazioni, sarebbe meglio dire) di indagini: in entrambi i casi, l’autorità giudiziaria si era già pronunciata, valutandone l’archiviazione nel caso di Emanuela Orlandi, e nel caso di Azzolini, da quanto leggo, addirittura con la formula “per non aver commesso il fatto” pronunziata dall’allora Giudice Istruttore (il che rende misteriosa la notizia della riapertura, ma tant’è).

Si pretende dunque di indagare su un fatto omicidiario certo e un altro presunto a distanza rispettivamente di 48 e 40 anni; e anzi, se davvero vi sono notizie rilevanti dal punto di vista investigativo, vi è l’obbligo di indagare, perché l’azione penale è obbligatoria ed il reato di omicidio aggravato, punito con la pena dell’ergastolo, è imprescrittibile. La pubblica opinione tende a salutare con favore queste notizie, che danno l’idea rassicurante della implacabilità della Giustizia, la quale prima o poi, pressoché al pari di quella divina, si immagina finirà per punire il colpevole di delitti così efferati. Ma uno sforzo nemmeno eccessivo di razionalità dovrebbe aiutare, invece, a coglierne l’autentica assurdità. Se infatti queste vicende sono state già investigate a lungo, per di più nella imminenza dei fatti, senza approdare ad alcun risultato, è difficile immaginare che esse possano d’improvviso essere disvelate a distanza di quasi mezzo secolo o poco meno.

Ma soprattutto, è dal punto di vista degli eventuali indagati o imputati che si deve apprezzare la assurdità di questa pretesa di sostanziale eternità dell’esercizio della potestà punitiva dello Stato. Se tutte le persone dotate di senno dovrebbero con onestà intellettuale interrogarsi sulla attendibilità, ad esempio, di prove testimoniali ma anche scientifiche assunte a 40 o 50 anni dal fatto che si intende ricostruire, ancor più dovrebbero chiedersi come una persona possa difendersi concretamente ed efficacemente dall’accusa di aver commesso un fatto 40 o 50 anni addietro. Qualcuno di voi sarebbe in grado di ricostruire, ad esempio, dove si trovasse, il 5 giugno del 1975, e a che ora?

La prescrizione, come hanno finalmente compreso in tanti, è un antico istituto giuridico che salvaguarda le regole basilari dello Stato di Diritto: nessuno deve rimanere in balìa della potestà punitiva dello Stato a tempo indeterminato. Hanno davvero senso queste assurde deroghe ad un così elementare principio di civiltà?

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Avvocato