Emanuele Impellizzeri si toglie la vita in carcere: perché non era monitorato?

Si è impiccato in carcere a Verona, all’alba di ieri, Emanuele Impellizzeri, 38 anni, arrestato con l’accusa di avere ucciso il 5 settembre scorso Chiara Ugolini, 27 anni, nell’appartamento che la ragazza condivideva con il compagno a Calmasino di Bardolino (Verona). Proprio ieri Impellizzeri sarebbe dovuto essere sottoposto a interrogatorio. L’uomo, una compagna e una figlia, di origini catanesi e vicino di casa di Chiara Ugolini, era stato arrestato il 6 settembre lungo l’autostrada del Sole nei pressi di Firenze, dopo essere fuggito in sella alla propria motocicletta. Negli ultimi giorni era stato trasferito dal carcere fiorentino di Sollicciano a quello veronese di Montorio, dove è stato trovato impiccato in cella.

A riferire il tragico suicidio il segretario nazionale della Uilpa Polizia Penitenziaria, Gennarino De Fazio. La notizia è stata confermata poi all’Ansa dall’avvocato d’ufficio dell’uomo, Mattia Guidato che spiega al Riformista: «Non credo che il suo senso di prostrazione legato all’arresto possa essere legato all’evento suicidiario. Io ho visto il mio assistito sabato. La situazione era quella che era, ossia una detenzione per una accusa molto grave. Ma non avrei mai pensato che potesse compiere un tal gesto. Abbiamo parlato dell’interrogatorio, concordato con la Procura, che ci sarebbe stato a breve e durante il quale avrebbe risposto. È chiaro che è difficile indagare la coscienza di una persona che compie un tal gesto».

E conclude: «Impellizzeri è stato dipinto come un uomo dal passato delinquenziale. La verità è che aveva commesso due rapine nel 2006. Da allora solo una guida in stato di ebbrezza. Ma si è trovato a dover scontare solo nel 2021, per problemi burocratici, una condanna del 2006. Lui nel frattempo aveva cambiato stile di vita ma forse questa condanna tardiva ha influito sul suo stato d’animo». Come è possibile che sia avvenuto l’ennesimo suicidio di un uomo in custodia dello Stato? Un uomo che evidentemente aveva bisogno di essere vigilato, che durante la confessione dell’aggressione aveva detto «Ho rovinato tutto, ho perso la mia famiglia»? All’avvocato a Sollicciano era stato detto che il detenuto aveva avuto il colloquio con lo psicologo ma forse non è stato deciso di sottoporlo a vigilanza stretta.

Mentre non si conoscono le ragioni della sua presenza in infermeria come ci spiega Gennarino di Fazio: «Da quanto abbiamo potuto apprendere era nel reparto infermeria, a regime aperto, non sottoposto a particolare sorveglianza. Penso che il tutto sia collegato alla situazione oggettiva delle carceri. Anche coloro che devono disporre una sorveglianza h24 devono fare i conti con l’organico disponibile, spesso impegnato su più fronti anche oltre l’orario previsto dal contratto di lavoro. Il sistema purtroppo è allo sfascio e al di là dei proclami continuano a non arrivare atti concreti da parte del Governo».

Solo due giorni prima, nella notte tra sabato e domenica, si era impiccato nella cella del carcere di Ivrea Alexandro Riccio l’uomo che a gennaio scorso aveva ucciso la moglie e il figlio di 5 anni. L’uomo aveva tentato il suicidio subito dopo l’omicidio buttandosi dalla finestra dell’appartamento di Carmagnola dove viveva con la sua famiglia. Aveva più volte confidato anche all’equipe di psicologici del carcere le sue intenzioni di farla finita. Per questo la procura di Ivrea ha aperto un’inchiesta per chiarire le circostanze del suicidio dell’uomo.