Nel 2010 le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata internazionale del diritto alla verità in relazione alle gravi violazioni a diritti umani e alla dignità delle vittime. La data è il 24 marzo, per onorare la memoria di mons. Oscar Romero, uomo di chiesa particolarmente impegnato nella difesa dei più vulnerabili, assassinato quel giorno del 1980 nella sua chiesa di El Salvador. Una ricorrenza speciale anche per Marco Pannella. Lo sa bene mons. Paglia, che dell’arcivescovo Romero ha curato il processo di beatificazione e di cui conserva il crocefisso che indossava quando fu raggiunto dal mortale proiettile. Lo stesso crocefisso che emozionò Pannella in una delle visite ricevute da Mons. Paglia stesso ad aprile 2016, nell’ultima primavera del vecchio leone radicale.

Dopo aver tentato di scongiurare la guerra in Iraq nel 2003 proponendo presso le istituzioni internazionali chiave l’esilio di Saddam Hussein, Pannella si dedicò alla ricerca di una via per sanare il vulnus che quella scellerata disavventura politico-militare aveva inflitto alla fiducia nelle e al funzionamento delle istituzioni democratiche. Scoprimmo l’esistenza di un dibattito al Consiglio ONU per i Diritti Umani sul “diritto alla verità” che sarebbe poi entrato pienamente a far parte del diritto internazionale come strumento di riparazione. Divenne subito un riferimento nella battaglia radicale per l’affermazione del “diritto alla conoscenza”, un diritto che anziché intervenire per riparare, interviene per prevenire attraverso una conoscenza e partecipazione di tutti i cittadini assicurata da istituzioni democratiche.

Tuttavia, è un 24 marzo amaro: per contrastare la pandemia Covid-19, il Parlamento ungherese ha votato, ma non ancora decretato, proprio oggi uno Stato di emergenza sanitaria senza termine temporale, dunque concentrando indefinitamente nelle mani del Primo Ministro Viktor Orban poteri straordinari. E’ un fatto chiaramente grave se il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, ha deciso di inviare una lettera formale al Primo Ministro ungherese per sottolineare che “uno Stato di emergenza indefinito e privo di controlli non può garantire né il rispetto dei principi di base della democrazia né che le misure di emergenza che limitano i diritti umani fondamentali siano strettamente proporzionate alla minaccia che dovrebbero contrastare.”

Notizie di involuzioni democratiche giungono anche dall’altro Stato membro dell’Unione Europea da tempo sotto riflettori sempre più, ahinoi inutilmente, accessi: la Polonia. Il 17 febbraio un tribunale di Karlsruhe, in Germania, ha rifiutato l’estradizione di un cittadino polacco richiesta da Varsavia tramite mandato di arresto europeo. La decisione non ha precedenti ed è indipendente dell’emergenza sanitaria coronavirus. Le motivazioni infatti indicano come determinanti le recenti riforme che hanno travolto la magistratura polacca. Come spiega la ricercatrice Anna Wójcik: “un tribunale tedesco ritiene che un processo contro un cittadino polacco in Polonia non sia condotto nel rispetto dei diritti che garantiscono lo svolgimento di un processo equo. Non si tratta di un’espressione di sfiducia nei confronti dei giudici polacchi, bensì nei confronti del sistema giudiziario costruito dalla maggioranza al governo.”

Secondo il Rapporto sulla Democrazia pubblicato il 20 marzo dall’istituto svedese VDem Institute, le autocrazie continuano ad avanzare e sono ora maggioranza. Con 92 Paesi, coprono il 54% della popolazione mondiale. Considerando le misure restrittive molto simili a quelle attuate a Wuhan e adottate dal nostro Paese, la battaglia per l’influenza mondiale tra Stati Uniti e Cina, e le misure straordinarie a cui ricorrono più governi per fronteggiare l’emergenza coronavirus, c’è davvero da chiedersi di quanto saranno aumentati i regimi autocratici una volta superata la fase emergenziale.

C’è però una nota positiva: il dato più interessante registrato dal Rapporto rivela infatti che l’avanzata autocratica è accompagnata da una crescente domanda popolare di democrazia. Le proteste a favore della democrazia negli ultimi anni sono aumentate. Il tasso di Paesi in cui hanno avuto luogo importanti manifestazioni di massa pro-democrazia è passato dal 27% nel 2009 al 44% nel 2019.

Alla luce del quadro generale qui abbozzato rapidamente, credo ci siano due lezioni da trarre dall’emergenza Covid-19: la prima è la necessità di potenziare le strutture e le competenze sanitarie; la seconda è riformare – e rispettare – i regolamenti parlamentari perché faccia ritorno in aula un dibattito degno di questo nome, e non sfilate di brevi monologhi che uccidono il dialogo. Perciò la battaglia del Partito Radicale per la difesa dello Stato di Diritto democratico e per il diritto alla conoscenza prosegue.

Senza sottovalutare per un istante i rischi connessi alla pandemia in corso, se hanno senso le parole dantesche che Beatrice indirizza a Virgilio: “Temer si dee di sole quelle cose c’hanno potenza di fare altrui male, de l’altre no, che non sono paurose”, occorrerà ricorrere a tutto lo spirito critico di cui siamo capaci per scrollarci di dosso l’intorpidimento accumulato affinché i compromessi che sigliamo oggi non ci consegnino domani frutti avvelenati che ci impediranno di uscire a riveder le stelle.