Nel mezzo preciso tra gli hashtag e e la retorica da web dell’ormai sempre più insensato e irriguardoso “andrà tutto bene”, lato A del più deprimente “niente sarà più come prima”, dovrebbero esserci il buonsenso e la ragione che restano due tra i più grandi assenti nella versione italiana della prima pandemia del nuovo millennio. Molti sono gli interrogativi, poche le risposte, unica la certezza: contenere il contagio.

E’ l’unica certezza – di cui davvero in pochi si erano accorti – sin dai giorni e dalle settimane precedenti al caso del cosiddetto “paziente 1” di Codogno. Dapprima si è giocato a mosca cieca con i cinesi che arrivavano in Italia con voli indiretti, complice il lassismo aggravato dalla consapevolezza, ancor più colpevole dell’iniziale cerchiobottismo italiano, messo in atto dagli stati esteri, in primis dai partner europei con i quali a fine emergenza sarà quanto mai necessario “fare i conti” e non sarà solo di decimali e economia che si dovrà parlare ma di politica vera e del senso reale della parola “unione”.

Ora che è troppo tardi tutti difendono i propri confini (come se il virus ne tenesse conto) e mostrando il volto segnato dalla paura di un riscoperto sovranismo, le classi dirigenti dei vari Paesi, sulla scia del nostro Governo fanno a gara a chi prende provvedimenti più duri. E’ chiaro a tutti, si spera, che la “soluzione cinese” al virus non potrà e – vivaddio – mai potrà essere una soluzione accettabile né pienamente replicabile nelle società europee. E’ indubbio, al tempo stesso, che di fronte alle inaudite processioni di bare viste nel bergamasco, non c’è nemmeno spazio e soprattutto tempo per esercitarsi in sofismi da costituzionalisti.

Che fare, dunque? Esercizi di democrazia applicata all’emergenza, nei limiti del possibile e cercando di salvare tutto il salvabile anzitutto in termini di vite umane, quindi non cedendo di un millimetro su conquiste di civiltà come, ad esempio, il rispetto della privacy dei malati, messo a serio rischio dagli insopportabili messaggi vocali di Whatsapp con nomi, cognomi, localizzazioni che girano sui telefoni di ciascuno di noi, penetrando il chiuso delle nostre casa divenute quasi un atomo all’interno di quelle che erano le comunità locali.

La stessa retorica pop ci sta convincendo, infatti, che la socialità sarà salvata dai balconi festosi. Per carità, cantare scaccia i pensieri negativi e va bene così ma sarebbe molto più serio provare già da ora, non sprecando questo tempo sospeso, a ricostruire la democrazia. Con i mezzi che la rete ci mette a disposizione da consigliare anche alle istituzioni – penso a tutti i Comuni d’Italia che fra pochi giorni dovranno discutere e approvare i loro bilanci di previsione – penso al Parlamento che, simbolicamente, è rimasto aperto ma di fatto svuotato di presenze, rappresentanza, poteri, come hanno coraggiosamente denunciato pochi giorni fa – appello pubblicato quasi solo sul RiformistaIrene Testa e Maurizio Turco del Partito Radicale, scrivendo una lettera al Capo dello Stato.

Esercitarsi nel dissenso ragionato, pur rispettando regole come il restare a casa che – ci vuole poco a capirlo – ora sono stringenti e necessarie, non è affatto pratica sterile di polemiche inutili ma allenamento di una democrazia viva. Una pratica che servirà – e tanto – quando il nuovo “esercito della salvezza” cinese chiederà il conto in termini geopolitici. Un percorso – si badi bene – che, senza voler per nulla cadere nei complottismi, è iniziato da circa un decennio con l’acquisizione massiccia da parte dei cinesi di significativi marchi del mondo della moda e dello sport che rappresentano al meglio lo stile di vita italiano, per arrivare, esattamente un anno fa, al lancio della tecnologia 5g a Palermo, nuova base ultratecnologica cinese, benedetta dall’arrivo nel capoluogo isolano del presidente cinese in persona, fino ad approdare ora, come agili tessitori di una “via della seta” rinforzata, nella tragedia del nostro sistema sanitario falcidiato negli anni da ingiustificabili tagli applicati dai governi dei più vari colori.

Quello che dovrebbe fare – e potrà fare – la nostra classe politica, dimostrando una buona volta di essere classe dirigente e non marionette nelle mani dell’ultimo sondaggista, sarà ricordare al regime cinese quali sono le nostre letture e di quali pensieri sono lastricate le meraviglie d’Italia e d’Europa: da Voltaire a Beccaria, da Constant a Bobbio. Maestri del pensiero che ci hanno spiegato, assieme a tanti altri, come la necessità umana di essere liberi possa aiutare sempre. E proprio l’emergenza, con tutte le difficoltà del caso, deve essere utilizzata come momento virtuoso in cui unire alla libertà il senso di responsabilità e rispetto degli altri. Altrimenti l’inno sventolato in ogni dove diventerà solo una simpatica marcetta e i balconi, altro che “il volto più bello del Paese”, sarebbero ben presto assimilati al palcoscenico di una fin troppo tragica farsa.