La pandemia ha messo in ginocchio l’economia dell’intero Paese. Il pil della Campania è crollato dell’8%, ma una speranza di ripresa è rappresentata dall’export grazie al quale la nostra regione sta reagendo alla crisi meglio di quelle del resto del Mezzogiorno e d’Italia. A dispetto della crisi, infatti, le esportazioni dell’industria agroalimentare, farmaceutica e dell’industria agricola sono cresciute a ritmi sostenuti. A svelarlo è l’aggiornamento congiunturale sull’economia della Campania, curato dalla sede napoletana della Banca d’Italia, che ha fotografato il primo e secondo trimestre di quest’anno.
Secondo le proiezioni della Svimez, il pil regionale si è ridotto dell’8%, meno della media nazionale che, secondo le proiezioni di Bankitalia, è prossima al 10%. «La situazione è drammatica – ha sottolineato Antonio Cinque, direttore della sede napoletana della Banca d’Italia – Il mondo sta affrontando la più forte recessione globale dagli anni Venti». E in Campania un simile crollo del pil non era mai stato registrato. Tra i settori più colpiti dall’avvento del Coronavirus c’è senz’altro quello del turismo che aveva contribuito a sostenere l’economia regionale in altri momenti di difficoltà: il calo dell’occupazione si è accentuato, registrando il -3,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente che si attestava intorno al -1,8. L’occupazione ha continuato invece ad aumentare nel settore industriale (+5,4%), mentre è rimasta più o meno stabile nel settore delle costruzioni.
In definitiva, il tasso di occupazione è calato al 40,3%, dal 41,5% del corrispondente periodo del 2019, scendendo al di sotto della soglia del 40% nel secondo trimestre dell’anno e provocando uno stato di ansia nelle famiglie che stanno spendendo di meno. In Campania la crisi del turismo è stata più marcata che nel resto del Paese e, considerando che il comparto del turismo produce circa il 15% del pil regionale e che i turisti stranieri spendono in media 1,8 miliardi di euro l’anno nel nostro territorio (dato aggiornato al 2018), si può comprendere quanto sia stata grave l’assenza dei turisti stranieri nelle città campane. Anche le imprese hanno accusato in maniera importante la crisi: il 70% delle imprese campane ha registrato un notevole calo del fatturato nei primi nove mesi dell’anno. Nel contempo è anche cresciuta la quota di aziende che ha realizzato investimenti inferiori rispetto a quanto programmato alla fine dello scorso anno. La forte crescita del fabbisogno di liquidità delle imprese è testimoniata da una ripresa marcata della domanda di credito che le banche hanno assecondato, favorite dal rafforzamento degli schemi di garanzia pubblica e da una politica monetaria ampiamente espansiva. Contemporaneamente, invece, le richieste di prestiti e mutui da parte delle famiglie sono calate del 15% rispetto allo scorso anno.
In questo drammatico quadro generale emerge un dato che va controcorrente rispetto agli altri e lascia ben sperare: le esportazioni dell’industria agroalimentare sono cresciute a ritmi molto sostenuti registrando un +16,8%, in netta accelerazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+2,9%). Tale andamento ha caratterizzato tutti i principali comparti del settore, in particolare quelli della pasta (39,4%, specialmente verso Stati Uniti e Regno Unito) e delle conserve (10,6%). Le vendite di prodotti lattiero-caseari, in calo nel 2019, hanno ripreso a crescere nei primi sei mesi del 2020. Nel settore farmaceutico, le esportazioni, pur continuando ad aumentare a ritmi molto sostenuti (24,8%) in virtù di una forte espansione verso i principali Paesi dell’Unione europea, hanno leggermente rallentato. Questo non vuol dire che l’export campano non abbia subito gli effetti della crisi, ma che questi settori ne hanno attenuato i colpi.
Nel primo semestre dell’anno, infatti, le esportazioni campane sono calate del 6,6% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente (a fronte di una crescita del 7,9% nel primo semestre del 2019). La contrazione nel semestre, pure se marcata, è stata di molto inferiore a quella registrata in Italia (-15,3%) e nel Mezzogiorno (-15,4% e -12% se valutata, rispettivamente, al netto e al lordo dei prodotti petroliferi), grazie alla maggiore specializzazione del tessuto produttivo campano proprio nel settore agroalimentare e in quello farmaceutico.