L’allungamento della vita lavorativa
Emergenza culle vuote significa -0,9% del PIL: dai migranti può arrivare un aiuto per controbilanciare il saldo
Il calo della popolazione in età da lavoro è un’insidia per l’Italia. Nel 2024 il tasso di fecondità ha raggiunto il minimo storico

Il 15 aprile scorso, durante l’audizione alla Camera sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, Andrea Brandolini – per conto della Banca d’Italia – ha compiuto un’ampia disamina delle conseguenze della crisi demografica, in particolare sul mercato del lavoro, sui sistemi di welfare e sulla crescita economica del Paese. Segnaliamo, tra i tanti argomenti affrontati, alcune considerazioni su aspetti particolarmente “sensibili” del dibattito politico.
La demografia
Il tratto più preoccupante nei prossimi anni è il forte ridimensionamento della popolazione in età da lavoro, destinato, in mancanza di cambiamenti significativi, a riflettersi in una diminuzione del prodotto del Paese, rendendo più difficile mantenere il tenore di vita sin qui acquisito. Nei prossimi 25 anni, se i tassi di occupazione, gli orari di lavoro e la produttività oraria rimanessero immutati sui livelli attuali, il calo della popolazione in età da lavoro implicherebbe una diminuzione dell’input di lavoro e quindi del PIL dello 0,9% all’anno. La riduzione del PIL pro capite sarebbe più contenuta, lo 0,6% annuo, per effetto della parallela flessione della popolazione complessiva.
Le nascite
In Italia il tasso di fecondità è sceso nel 2024 al minimo storico di 1,18 figli per donna. L’effetto negativo sul tasso di natalità è amplificato in Italia dalla forte riduzione del numero di donne in età riproduttiva, fissata tra i 15 e i 49 anni. Nel 2024 i nati vivi sono stati 370mila; nel 1995 con un tasso di fecondità pari a 1,19, simile a quello attuale, le nascite erano state 526mila, grazie a un numero di donne in età riproduttiva di un quarto più alto. In sostanza, i figli non nascono perché prima di loro non sono nate le madri.
L’immigrazione
L’immigrazione può controbilanciare il saldo naturale negativo anche nel breve periodo. I lavoratori immigrati per lo più svolgono occupazioni di bassa qualità e peggio retribuite. Nel 2019, tra i lavoratori dipendenti che avevano una retribuzione settimanale appartenente al quinto meno pagato dell’intera distribuzione, il 35% era nato all’estero, a fronte di solo il 7% nel quinto più pagato. Queste stime riguardano la componente regolare dell’occupazione dipendente che ha un contratto dichiarato all’Inps: il quadro si aggraverebbe se fossero considerati anche gli occupati irregolari e gli addetti dell’agricoltura. Nell’ipotesi (teorica) in cui il saldo migratorio con l’estero fosse invece nullo e la composizione della popolazione straniera rimanesse esattamente quella del 2024, nel 2050 il numero totale delle persone residenti in Italia non raggiungerebbe i 50 milioni e quello delle persone in età da lavoro sarebbe di 3,9 milioni più basso.
L’allungamento della vita lavorativa
Le riforme pensionistiche introdotte dagli anni Novanta hanno incrementato la partecipazione al mercato del lavoro nelle fasce di età più avanzate. Questa tendenza si è riflessa in un aumento dell’età media effettiva di pensionamento per vecchiaia/anzianità da 62,1 anni nel 2012 a 64,6 nel 2023. Tra il 2004 e il 2024, il tasso di partecipazione tra i 55 e i 64 anni è aumentato dal 31,7 al 61,3%, pur rimanendo di quasi 8 punti percentuali inferiore alla media dell’area dell’Euro. Quello nella fascia di età tra 65 e 74 anni è cresciuto dal 5,0 al 10,7% ma è ancora inferiore a quello di Paesi come la Germania (15,9%). L’analisi della partecipazione al lavoro delle classi anziane dovrebbe tenere conto del miglioramento delle capacità cognitive e fisiche delle coorti di popolazione più recenti rispetto a quelle precedenti, una volta che sia raggiunta l’età avanzata. Secondo stime recenti, le capacità di una persona di 68 anni nata nel 1950 sono in media superiori a quelle di una persona di 62 anni nata nel 1940. L’età cronologica è un’approssimazione inaffidabile del funzionamento fisiologico delle persone a causa delle notevoli differenze nel modo in cui esse invecchiano.
La sostenibilità
Secondo le più recenti proiezioni, il totale delle erogazioni per pensioni, sanità, assistenza a lungo termine e istruzione passerebbe da circa il 27% del PIL nel 2022-24 a oltre il 28 nella seconda metà degli anni Trenta, per poi gradualmente scendere a poco più del 25 nel 2070.
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