L'intervista
Emma Bonino: “Povera Italia, se non ci fosse l’Europa”
Più Europa, ai tempi del Coronavirus, significa «uscire dalla logica dell’antagonismo, per tornare a quella del protagonismo europeo dell’Italia». A sostenerlo è Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, leader storica dei Radicali e oggi senatrice di + Europa.
Cosa significa, ai tempi del Coronavirus, “più Europa”?
Significa uscire dalla logica dell’antagonismo, per tornare a quella del protagonismo europeo dell’Italia. Non mi pare che il Governo nel suo complesso riconosca il ruolo decisivo che l’Europa sta esercitando per finanziare le spese di emergenza. Se la Bce non avesse messo in campo un piano straordinario di sottoscrizione di titoli di debito per 750 miliardi, il Governo Conte non avrebbe fatto un primo decreto da 25 miliardi né si sarebbe preparato a un secondo di più del doppio. E a ciò si aggiunga il Sure con 100 miliardi per le spese straordinarie in tema di ammortizzatori sociali. Sul piano strettamente sanitario l’Europa ha fatto quel che poteva fare, visto che la sanità è una materia nazionale, ma non sono certo io a oppormi a un trasferimento di sovranità sui temi sanitari a Bruxelles.
Niente sarà più come prima, si ripete da più parti. Ma fuor di retorica, quali sono le sfide più pressanti che l’Europa ha di fronte a sé?
La sfida più grande è persuadere i cittadini degli Stati membri che la costruzione europea non è un gioco a somma zero, che le scelte europee non “tolgono” a qualcuno per “dare” a qualcun altro, ma accrescono il benessere, la sicurezza e la coesione di tutti i paesi. L’Unione europea è un moltiplicatore delle opportunità e delle possibilità. Questa è una verità negata da tutti i sovranisti, siano essi del Nord e del Sud, di destra o di sinistra. Le regole europee – quelle sul mercato comune, sul commercio internazionale, sui diritti fondamentali – sono “abilitanti” per tutti e non sono “disabilitanti” per nessuno. Se l’Italia è cresciuta meno degli altri Paesi europei, pur con le stesse regole, le risposte deve trovarle in sé, non fuori di sé.
Gli Eurobond sono la strada giusta, e percorribile, per una “europeizzazione” di una risposta alla pesante recessione già in atto?
Io sono una federalista europea, sono a favore di una maggiore integrazione politica, con un bilancio federale degno di questo nome. Quindi viva gli eurobond, ci mancherebbe. Penso che un bilancio europeo più robusto, sia, di per sé, un meccanismo di correzione delle asimmetrie delle economie europee e che un debito comune per grandi investimenti sui beni pubblici europei – salute, ambiente, infrastrutture… – sia anche il modo migliore per evitare che i singoli Stati, e penso anche all’Italia, si indebitino per comprare voti, come con quota 100. Non penso invece che la strategia italiana sul tavolo europeo possa essere “eurobond e solo eurobond”. Il rifiuto del Mes per Conte non dipende dalla natura dello strumento, ma dal fatto che il Mes in Italia è diventato, ben prima del Coronavirus, il sinonimo di “Europa cattiva”. L’Ue è una cassetta degli attrezzi. C’è la Bce, c’è il Mes, c’è la Bei, ci saranno gli eurobond. In prospettiva sono tutti strumenti utili, perché rispettano tutti una logica europea. Del resto in Italia si litiga tra Mef e Cdp su come usare i fondi Sace, in piena crisi. Peraltro, sugli eurobond una proposta concreta del Governo italiano ancora non c’è. C’è invece quella dei commissari europei all’Economia, Gentiloni e al Mercato interno, Breton, che a me va benissimo.
C’è chi rappresenta le attuali divisioni tra i Paesi membri dell’eurozona come uno scontro tra le “cicale” del Sud, tra cui l’Italia, e le “formiche” del Nord, a guida tedesca…
Per me sia le cosiddette cicale, sia le cosiddette formiche quando si muovono – all’unisono! – in direzione opposta a quella di una maggiore integrazione politica ed economica rappresentano, in uguale misura, degli avversari politici. Non ho mai pensato che l’indisciplina finanziaria fosse un esercizio di sovranità, né che l’opposizione a un bilancio europeo più robusto fosse una prova di rigore. In Europa nessuno può sperare di salvarsi da solo, né i piccoli, né i grandi, né i poveri, né i ricchi. Ma avere strumenti comuni significa usarli in modo ugualmente responsabile. Non si fanno gli eurobond per buttarli in Alitalia, per essere chiari.
Una Europa unita non piace a molti. Tra essi, c’è Vladimir Putin, oltre che Donald Trump. Che idea si è fatta delle minacce del ministero della Difesa russo alla Stampa? Siamo un Paese terra di conquista?
Saremo tanto più una terra di conquista quanto più ciascuno Stato penserà che la sovranità e la libertà da difendere sia solo quella nazionale. Il capitolo delle politiche di sicurezza comune, che da molti punti di vista l’emergenza Coronavirus ha reso evidenti, implicano decisioni di scala europea. Nessuno stato da solo può fronteggiare né l’invadenza russa, né l’eventuale disimpegno statunitense dallo scenario europeo. Quanto alle minacce a Iacoboni, mi sarebbe piaciuto che almeno un esponente del Governo italiano le avesse denunciate come tali, cioè come delle minacce inaccettabili. La cosa non è accaduta e questo silenzio è molto significativo”.
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