Nell’ultimo decreto approvato la scorsa settimana in consiglio dei ministri, il cosiddetto Salva Infrazioni, sono state inserite delle modifiche a precedenti leggi con l’obiettivo di agevolare la chiusura delle procedure europee pendenti nei confronti dello Stato italiano. Il decreto è stato proposto dal Ministro agli Affari Europei, Politiche di Coesione Sud e Pnrr Raffaele Fitto, su indicazione dei vari ministeri sotto infrazione. Al momento dell’insediamento del Governo Meloni, il numero di procedure di infrazione pendenti era di 83, a fronte di una media europea di 73. Da allora ne sono state chiuse 11, mentre altre 10 sono state aperte in relazione a risalenti situazioni di non conformità. Oggi dunque le procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia sono 82, a fronte di una media europea di 66.

Tra queste quella relativa al Caso SA.50274, in materia di interrompibilità elettrica. Che però, per come è stato affrontato dal Governo, in particolare dal Ministero dell’ambiente guidato da Pichetto Fratin, andrebbe a incidere pesantemente sulle casse dei grandi energivori, le cosiddette industrie hard to abate (acciaierie, chimici, cartai e ceramisti) già fortemente colpiti dalla crisi energetica.

L’articolo 21 del decreto interviene sul regime di interrompibilità elettrica, un sistema con cui un gestore opera in situazioni emergenziali dei distacchi ai carichi presenti nei siti industriali di una serie di utenti con i quali è stato stipulato un apposito contratto. Tali utenti vengono definiti interrompibili e, in cambio della loro disponibilità di avere dei carichi disalimentabili in caso da necessità da remoto, ottengono una riduzione delle tariffe o di uno specifico riconoscimento economico. Le utenze così distaccate fungono da centrali passive, cioè l’energia assorbita da tali utenze può essere ‘dirottata’ ad altri carichi evitando così sovraccarichi della rete. In Italia il servizio è offerto da Terna che, tramite la propria rete di telecontrollo, interviene sugli interruttori presenti in alcuni siti industriali o utenze considerate “energivori” (con potenza media mensile maggiore o uguale a 1 MW), i cui titolari acconsentono di subire un’interruzione della fornitura di energia elettrica.

In sostanza a fronte di un diritto di stacco, Terna in periodi in cui si trova a corto di energia, attraverso un meccanismo automatico, stacca energia alle aziende aderenti. Solo i grandi energivori hanno funzionato da centrale elettrica di riserva che ha fornito 4 mila megawatt. Con il decreto viene tolta l’esenzione per i grandi carichi oltre i 40 mw., sottoponendo i grandi energivori ad asta per l’interrompibilità. In sostanza i forni elettrici delle grandi aziende (55 mw) vengono messi in concorrenza con i consorzi dei macellai per i frigo (1 mw). Senza considerare però che i grandi energivori sono concentrati in province strategiche del nord, dove il sistema è più intenzione e che offre una capacità immediata notevolmente maggiore.

Del resto hanno contrattualizzato la centrale elettrica di Brindisi da 1200 mw per 360 milioni l’anno, mentre l’interrompibilità per 4300 megawatt costa 200 milioni l’anno. Terna aveva anche proposto di contrattualizzare uno stop di 5 giorni in un determinato periodo dell’anno, puntando non alla puntualità ma alla resilienza del sistema, senza mandare in asta, ma poi non se ne è fatto niente.

Certo è strano che dal 2020, l’Italia si ricordi di oggi di rispondere, piegandosi, all’Europa. Su un tema, quello dell’energia, su cui l’Europa non ha le carte in regola considerando che Francia e Germania pagano l’energia 60 euro mw/h e l’Italia oltre 100. Probabilmente il governo, per non avere problemi su altri fronti come il Pnrr, ha piegato la testa su questo. Creando un differenziale enorme per un Paese che dovrebbe competere alla pari almeno con gli altri europei. In assenza di politica comune sul prezzo dell’energia ci sono distorsioni del marcato unico.

Fanno discorsi sulla sovranità e poi su un attacco così forte alla manifattura non difendono le aziende italiane. Tra l’altro parliamo di industrie di base che consentono a tutte la filiera industriale italiana di tenere alta la testa. L’Italia dovrebbe opporsi a misure asimmetriche e rivendicare per le industrie energivore una tariffa comune. Ma manca una politica industriale come quella dei governi di Francia e Germania.

Annarita Digiorgio

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