Manca un’idea coerente con la Commissione europea
Energia e sviluppo economico, in Italia manca una visione
In punta di teoria economica l’energia è un fattore produttivo necessario e fondamentale per lo sviluppo economico del paese. Senza energia non c’è sviluppo. Questa era la ratio secondo la quale i padri fondatori della Repubblica avevano affidato le competenze in materia di energia al Ministero dell’industria ora Ministero dello sviluppo economico. Mattei è stato uno degli artefici del miracolo economico italiano, fornendo energia a basso costo alle imprese del triangolo industriale del nord in tutti gli anni ’50. Non ci sarebbe la seconda potenza manifatturiera di Europa, oggi, senza quel miracolo.
Nel 1986 fu istituito un Ministero dell’ambiente per la tutela di quello che il rapporto Brundtland l’anno successivo definisce: «Le risorse che noi prendiamo a prestito dai nostri figli e che dobbiamo restituire intatte o migliorate alla generazione future». In Italia, come in Europa, la proficua dialettica, che crea tesi, antitesi e sintesi come motore del progresso del pensiero umano, fra le istanze della competitività del sistema industriale che sono basate fondamentalmente sulla competitività dei costi del sistema energetico e le istanze della protezione ambientale, è proseguita con importanti passi, ad esempio le fondamentali Leggi 9 e 10 del 1991. Questa dialettica è stata già risolta dalla teoria economica brillantemente da uno scienziato del calibro di William Nordhaus, premio Nobel.
L’intervento ottimale del settore pubblico nel settore energetico è dato dall’adozione della carbon tax ovvero di una tassa che ripristina le esternalità negative creata dall’inquinamento nell’ambiente, permettendo, da un lato, di agire direttamente verso la riduzione dell’inquinamento e, dall’altro, di generare risorse che possano essere messe a disposizione per l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, il progresso tecnologico nella direzione della lotta al cambiamento climatico. Nel 2015, lo storico accordo di Parigi sul cambiamento climatico era stato adottato con favore da un larghissimo consenso in ambito delle Nazioni unite. Da ultimo l’Unione europea con il Green Deal ha rafforzato l’attenzione a questi temi, con il Commissario all’energia, una donna, con la competenza strategica di sviluppare un mercato energetico europeo integrato e interconnesso e con il Commissario all’ambiente con la competenza strategica di presidiare la attuazione del Green Deal, la realizzazione di una economia zero-pollution (inquinamento zero) e la promozione dell’economia circolare.
Purtroppo, la visione della presidente Ursula Von Der Leyen non sembra far parte della recente decisione del governo di ristrutturare le competenze governative in materia di energia e ambiente. Non c’è una visione generale sulla competitività delle fonti energetiche come base cruciale della competitività del sistema economico e dello sviluppo economico. Non c’è una visione sulla carbon tax. Non c’è una organizzazione coerente con quella della Commissione Europea (chissà Gentiloni cosa dice?). A parte il lieve sorriso che genera l’espressione “mobilità dolce e sostenibile” (con banchi a rotelle e monopattini abbiamo già dato!) in un documento che finirà in Gazzetta Ufficiale, l’assetto organizzativo delle funzioni di governo che emergerebbe dalla riforma delle competenze ministeriali del decreto legge in corso di approvazione o già approvato al momento della stampa di questo articolo soffre di una criticità rilevante: viene affidato a chi deve cercare nuove soluzioni tecnologiche – e quindi, come direbbe Schumpeter, creatrici e distruttive del sistema esistente – anche il compito di vigilare su quanto di buono è già esistente.
In particolare, stona la sottrazione di questa funzione al Mise: «Attuazione dei processi di liberalizzazione dei mercati energetici e promozione della concorrenza nei mercati dell’energia e tutela dell’economicità e della sicurezza del sistema; individuazione e sviluppo delle reti nazionali di trasporto dell’energia elettrica e del gas naturale e definizione degli indirizzi per la loro gestione; vigilanza su enti strumentali e collegamento con le società e gli istituti operanti nei settori dell’energia; gestione delle scorte energetiche nonché predisposizione ed attuazione dei piani di emergenza energetica». Ora immaginiamo una ricerca tecnologica in una direzione nuova e difficile, con traguardi mai osati in precedenza, che per sua natura offra rischi e opportunità. Come possiamo immaginare che il responsabile si possa dedicare a un compito così sfidante, se deve anche occuparsi di gestione corrente?
In quale azienda il responsabile di ricerca e sviluppo, colui o colei che deve garantire la continua innovazione dei prodotti e dei processi per essere competitivi nel mercato, è anche responsabile della produzione, del coordinamento dell’attività di trasformazione dei fattori produttivi in prodotti finiti? Se l’Unione europea ha affidato la ricerca e sviluppo del nuovo paradigma di Green Deal a un commissario con relativa Direzione generale e la promozione della competitività del settore energetico a un altro Commissario con relativa Direzione Generale un motivo ci sarà, no? Che siamo europei a fare se non facciamo le cose buone che fa l’Europa?
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