Quale lezione si può trarre dalle battaglie che i riformisti europei stanno vincendo? Lo abbiamo chiesto al capogruppo di Italia Viva al Senato e membro del Copasir, Enrico Borghi,

Macron ha vinto la sua scommessa. La Francia resiste all’onda nera. Ma le incognite aperte sono tante…

«Intanto salutiamo il successo di Macron, e soprattutto degli ideali universali della République che questa destra reazionaria voleva archiviare. Ora si apre una strada di collaborazione tra popolari, liberali e socialisti. In Francia come alla guida della UE»

Un governo Ursula, anche con i gollisti?

«I gollisti sono popolari, e nel peculiare sistema francese potrebbero trovare dei punti di caduta. La rottura politica che si è consumata all’interno del mondo gollista ci dice che chi mantiere il proprio profilo, senza sbandate a destra, viene premiato».

La Francia ma anche il new labour di Starmer in Uk dimostrano che vincere, per i riformisti, è ancora possibile.

«Londra e Parigi dimostrano che quando la sinistra si apre al riformismo, archivia ortodossie antiche e ideologiche e parla al Paese, vince. Con una battuta direi che quando la sinistra scopre che esiste il centro, può vincere e soprattutto governare. Sennò fa testimonianza velleitaria, figlia di un’intima inconsistenza, che è la cifra di chi è in decadenza».

Che Europa sarà, quella che ci aspetta? Meloni ha giocato bene le sue carte sulle nomine?

«Meloni si è cappottata in un parcheggio. Pensava di essere la leader della destra europea, si è trovata detronizzata da Orban e Le Pen e mollata da Vox. Pensava di essere determinante nel bis di Ursula von Der Leyen, ed ha giocato una imbarazzante tripla tra lei e le altre nomine tra astensione e voto contrario. Ora è costretta ad abbozzare. Ed è più debole lei, e purtroppo con lei l’Italia. E rischiamo di non imporre nell’agenda il grande tema del Mediterraneo, che è esiziale».

Vede la possibilità che questa Europa faccia passi avanti seri sulla voce unica in politica estera e per il modello di eurodifesa?

«Lo show di Orban di questi giorni dimostra che è impossibile un esercito e una difesa a 27. Penso però sia indispensabile una Europa della difesa a più velocità, e penso che sarà quello che accadrà. E l’Italia con chi starà? Con Budapest e e i nuovi patrioti europei filoputinisti? Il tempo delle ambiguità per la Meloni è finito».

Da noi in Italia cosa ha portato al risultato delle Europee per i nostri riformisti?

«Quel risultato è figlio della divisione, che in politica non paga mai. Qualcuno ha cercato di unire, qualcun altro ha preferito dividere. Ora spero che questo abbia portato la consapevolezza che la dissipazione è un peccato mortale. Qualcuno lo sa perfettamente, perchè ha lavorato sempre per l’unità, e qualcun altro fa finta di non comprendere. Attenzione, perchè a forza di dissipare, si viene dissipati! Resta un punto: in Francia, nel Regno Unito, in Germania lo spazio del riformismo è vivo: credo esista anche da noi, ma serve un lavoro politico di costruzione per renderlo concreto. Perchè il terreno del nuovo bipolarismo in Europa è tra europeisti riformisti da un lato, e sovranisti nazionalisti dall’altro. Va organizzato il primo spazio, che è oggettivamente il nostro».

E in prospettiva, cosa vede nel futuro di Italia Viva ? Vede l’opportunità di un accordo stabile con il centrosinistra ? Lei viene dalla scuola del popolarismo, dal cattolicesimo democratico…

«Intanto guardiamo con interesse e ascolto a ciò che è accaduto a Trieste, con le Settimane sociali dei cattolici che hanno posto il tema della democrazia e del suo futuro al centro. Sono contenuti, questi come altri, utili a profilare bene la nostra identità di soggetto politico del centro riformista, lavoro che va fatto prima di definire alleanze e accordi, lasciando al passato le formule di ieri e aprendoci ad un percorso di lavoro con energie e intelligenze che si incontrano su questo terreno. Se sai chi sei, sai dove vai. Altrimenti ti perdi alla prima curva».

I democratici e riformisti americani sono alle prese con un problema perfino più urgente. Joe Biden. Va camiato cavallo in corsa, e di corsa?

«E’ davvero impressionante che la più grande democrazia del mondo abbia ristretto le opzioni di scelta tra Biden e Trump. Ed è altrettanto impressionante che sia la disponibilità di risorse finanziarie a determinare chi sta in campo, o meno. In questo contesto, posso solo dire -spes contra spem- che mi auguro che non ci sia Trump alla Casa Bianca a novembre».

A Mosca, intanto, rimandato il brindisi per il flop Le Pen, se la sono presa con i bambini. L’ospedale pediatrico di Kiev è stato distrutto. Scommetto che però non ci saranno manifestazioni indignate, stavolta.

«L’attacco all’ospedale pediatrico di Kiev è un crimine contro l’umanità, e forse è il modo con cui Putin partecipa al dibattito sulle elezioni in Francia e Inghilterra. La sua tragica risposta ad un voto che non ha premiato i putiniani dell’appeasement con Mosca. Il doppiopesismo di fronte a questi orrori a cui assistiamo, tanto a destra come a sinistra, è sempre più inaccettabile. E, purtroppo, ha radici antiche e profonde in particolar modo in Italia».

A proposito di Mosca, la disinformazione prosegue. La guerra ibrida anche. Noi come sistema-Paese come siamo messi?

«Siamo messi che la scorsa settimana sono stati attaccati direttamente il Presidente della Repubblica e il governatore della Banca d’Italia. Mi chiedo cosa debba ancora accadere in questo Paese per svegliare i decisori. Vedo troppi silenzi imbarazzati, talvolta compiaciuti, talaltra distratti. Mentre i dati ci dicono che siamo i più disinformati d’Europa. Noi abbiamo fatto una proposta di legge a tutela della libertà: ne vogliamo discutere o continuiamo a parlare d’altro?»

Sicurezza e Cybersecurity sono legati, indissolubilmente. Oggi il rapporto World Economic Forum rende nota la mancanza di 100.000 esperti di sicurezza informatica. Da noi la nuova legge prevede che ci siano in ogni azienda pubblica e privata, che giudizio dà di questa legge?

«Ci siamo astenuti, perchè da un lato c’è sproporzione tra ciò che ci si propone e gli strumenti di attuazione e dall’altro siamo sempre dentro il riflesso condizionato del tic panpenalista. Servirebbe un autentico salto di qualità, non burocratico ma strutturale, che ancora non si vede».

Oggi Aspen Institute discute a Roma proprio di prospettive e criticità di AI e Cybersec. Lei quale messaggio darebbe?

«Il futuro della democrazia e delle nostre società è legato al governo di questi fenomeni. Per questo serve consapevolezza, e capacità di aggiornamento degli strumenti. Sapendo che non possiamo fare come il pugile che sale sul ring con una mano legata dietro alla schiena».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.