Avevo 23 anni ed eravamo a pranzo a casa quando la tv sparò la notizia dell’arresto di Enzo Tortora. Non guardavo la sua ‘Portobello’ e, francamente, non mi piaceva molto, lo consideravo un pò un vecchio trombone. Però rimasi immediatamente colpito dall’espressione di incredulità e smarrimento che era stampata nei suoi occhi. Era il suo modo di gridare, mentre lo trascinavano in ceppi tra le ali di giornalisti e cameramen, ma cosa state facendo sono innocente. Uscii di casa piuttosto turbato ed andai, come ogni giorno, in via di Principe Amedeo, la sede di Radio Radicale.

Come sempre in quegli anni, anche in quella occasione, il mio turbamento interiore immediatamente trovò uno sfogo politico. Ebbi la fortuna di vivere in presa diretta, come nei giorni e nelle settimane a seguire l’arresto di Enzo, l’inizio della battaglia di Pannella e dei radicali in sua difesa. Mai, però, avrei immaginato, solo qualche mese dopo, di trovarmi in quella via Piatti, diventata poi tristemente famosa, per intervistare Tortora sulla sua decisione di accettare la candidatura al Parlamento Europeo nelle liste radicali.

Ricordo perfettamente lo stato di soggezione che mi metteva la situazione ma anche il senso di ammirazione per la tenacia e la determinazione dell’uomo che esprimeva con una straordinaria eleganza non solo nei modi ma anche nell’eloquio come se tutto quello che gli era precipitato addosso non fosse riuscito a scalfire la sua integrità e il suo amore per la vita. Chi ha pensato che la sua decisione di fare il parlamentare europeo fosse solo un modo, per quanto comprensibile, di riguadagnare la libertà personale, ovvero che fosse una scelta dettata dall’orgoglio, ha dovuto immediatamente ricredersi. Da giovane militante radicale ho avuto la fortuna di condividere il suo impegno politico, le sue scelte e, purtroppo, anche i segni del dolore che lo avrebbero portato alla morte. Enzo Tortora quando scelse di candidarsi decise contestualmente di dedicare la sua via “agli altri”.

Quegli altri che lui maniacalmente ripeteva essere non solo gli altri, ingiustamente detenuti, che aveva conosciuto in galera ma anche tutti gli altri che non aveva conosciuto e che lo cercavano in tutti i modi perché ormai era diventato, suo malgrado, il simbolo della ingiustizia ma anche del combattente per la verità. Ma lui comprese presto che inevitabilmente era diventato il punto di riferimento non solo di coloro che erano finiti in galera ingiustamente ma anche di coloro che, ancorché giustamente, vivevano condizioni di detenzione inumane (ahimè le cose non sono molto cambiate).

Per e con Enzo Tortora la battaglia per la giustizia giusta nel volgere di breve tempo diventò la battaglia per i più fragili, per i dimenticati, per gli ultimi. Va detto che Enzo Tortora non scoprì la politica con i radicali, lui era un convinto liberale e forse fu per questo che non ebbe remore a condividere con Pannella questo tratto di strada. Ho tanti ricordi del Tortora politico, delle sue presenze nella sede del partito, dei suoi interventi appassionati nei nostri congressi, unico che potesse competere con Marco Pannella nell’’applausometro’! Lo ricordo con orgoglio quando decise, dopo la condanna di primo grado a più di dieci anni, di dimettersi da parlamentare europeo e tornare agli arresti per affrontare senza scudi il processo.

Che gesto, che coraggio, che nobiltà di comportamento! Gli ultimi ricordi sono invece i più tristi, la sua voce flebile al telefono o nelle interviste alla radio. Le sue ultime assenze: il segno di un uomo che aveva dato tutto sé stesso, anche il suo corpo, perché fosse fatta giustizia e perché gli fosse restituita la dignità e che, avendo dato letteralmente tutto, non aveva più difese contro il male che se lo è portato via.

Sono passati 40 anni da quell’arresto che rimarrà nella storia del nostro paese il più crudele e vergognoso scandalo di mala giustizia. I giudici responsabili di tutto questo non solo non hanno mai pagato per le loro responsabilità ma anzi grazie alle decisioni del CSM hanno fatto carriera. A distanza di 40 anni per la giustizia e le carceri italiane siamo sempre allo stesso punto, o forse peggio, e leggere le dichiarazioni di alcuni magistrati e giornalisti rispetto alla timida riforma della giustizia avanzata dal governo in questi giorni, da una parte fa venire un sorriso amaro e dall’altra fa capire che la battaglia di Enzo Tortora è più che mai attuale e che in qualche modo quel testimone ha bisogno ancora di qualcuno che lo tenga saldamente in mano.

Roberto Giachetti

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