Era chiaro fin dall’inizio che l’inchiesta fosse piena di incongruenze e nessuno ha voluto vedere. Nessuno si è mai posto domande. E allora chiedo adesso: come mai soltanto Vittorio Feltri si prese la briga di leggere gli atti e scrivere che forse la realtà non era come la stavano raccontando?”.

Sono passati quasi 40 anni da quel 17 giugno 1983, quando il popolare conduttore tv Enzo Tortora finì in manette con una accusa tanto ignobile quanto falsa: traffico di stupefacenti per la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Quel giorno la figlia Gaia, oggi affermata giornalista e vicedirettrice del tg di La7, aveva 14 anni. Oggi, al Corriere della Sera, ricorda quel giorno ma anche “il dopo”, in una intervista Sera in cui evidenzia come il caso del padre fu sì un caso di malagiustizia, ma anche di malainformazione.

Gaia Tortora ricorda come il padre, con una trasmissione come ‘Portobello’ che teneva attaccati davanti allo schermo fino a 30 milioni di telespettatori, “dava fastidio, ma nello stesso tempo parlare di Tortora faceva fare un salto di qualità ai pentiti e all’inchiesta. Per questo dico che c’è stato dolo”.

Secondo la giornalista anche i suoi colleghi dell’epoca non fecero bene il loro lavoro, non solo i magistrati. Perché “sarebbero bastate quattro verifiche sulle cose che raccontavano i pentiti e in 48 ore tutto si sarebbe chiarito. Ne cito soltanto due così si comprende bene. Nell’agendina di Giuseppe Puca, uomo di Cutolo, erano riportati due numeri di tale “Enzo Tortona”, che nei verbali diventò “Enzo Tortora”. Eppure nessuno si prese la briga di controllare, di provare a chiamare. Il giorno in cui Gianni Melluso raccontò di aver consegnato a mio padre una scatola di scarpe piena di droga in realtà era rinchiuso nel carcere di Campobasso. Ma questo fu Feltri a scoprirlo, non i magistrati”.

Neanche l’assoluzione servì però a cancellare il dolore di quel tempo trascorso in carcere, la gogna mediatica subita dal padre, anche perché “nulla avrebbe mai potuto ripagarlo per ciò che aveva subito, mio padre non è mai più stato lo stesso uomo”, ricorda oggi la figlia Gaia.

A starle vicino in quegli anni bui, racconta Gaia Tortora, poche persone: “Piero Angela che poi per me è diventato come un secondo padre. Ancora adesso sua moglie Margherita è presente nella nostra vita”. Quindi un trio di giornalisti, “quei pochi che lo hanno difeso”: oltre a Feltri, Tortora cita Montanelli, Biagi e Boccache hanno avuto il coraggio di denunciare che cosa avevano fatto i magistrati”.

Una vita piena, di gioie e di dolori, è finita con l’arrivo della malattia. Quella di papà Enzo “è durata un anno e poi è morto. Dentro di lui era esplosa una bomba. Tutti noi abbiamo pagato un prezzo altissimo. Mia sorella Silvia ci ha lasciati a 59 anni, proprio come papà”.

Redazione

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