Cade il quarantennale dall’arresto di Enzo Tortora. Un innocente. Ma non potrebbe ricordare degnamente quell’errore giudiziario, se prima non ci chiedessimo: può accadere ancora oggi? E se accadesse, i giudici che, per dolo o colpa, gli hanno rovinato carriera, immagine, vita, pagherebbero? Si potrebbe ancora accadere, e non pagherebbero abbastanza. L’ultimo episodio che possiamo raccontare è quello che vede protagonista i due giudici di Trani Michele Ruggiero e Alessandro Pesce. Sono stati condannati in via definitiva per violenza privata su alcuni testimoni. Nel 2014 aveva arrestato l’allora sindaco di Trani Luigi Riserbato, costringendolo preventivamente alle dimissioni. Pochi mesi fa è stato assolto in via definitiva. Ma ovviamente la sua carriera politica ha perso il treno. Oltre che la dignità rovinata immeritatamente. Ma il tribunale ha invece condannato i due pm che, durante gli interrogatori, avevano usato modalità intimidatorie, violenze verbali e minacce sui testi per costringerli ad accusare gli imputati di aver preso tangenti.

Di fronte a questa condanna, il Csm ha salvato dalla radiazione i due pm, e ha comminato loro solo una sospensione di due anni. Poi potranno tornare a fare danni (e rovinare la vita delle persone) Ruggiero al tribunale di Torino, e Pesce a quello di Milano.

Ma come ha notato Luciano Capone sul Foglio, durante l’iter del processo, i pm hanno continuato a fare il loro lavoro. Mentre a un politico si chiedono le dimissioni (col rito ambrosiano della custodia cautelare) per non incorrere nella reiterazione del reato.

Sostanzialmente, nonostante tutti gli scandali degli ultimi anni, il Csm non è ancora stato riformato, e i pm fra loro non si toccano. Cosi fu per Enzo tortora, quarant’anni fa. Erano le quattro di notte, Enzo Tortora fu arrestato in una stanza dell’Hotel Plaza di Roma per associazione di stampo camorristico e traffico di droga. Lo tennero in una caserma senza poter vedere neppure l’avvocato fino all’ora dei tg. Che appostati con le telecamere a Regina Coeli potettero mandare in diretta le immagini delle manette. Come ha raccontato qualche settimana fa il suo avvocato Raffaele Della Valle, Tortora arrivò su un furgone che si fermò a una cinquantina di metri dall’ingresso del carcere. Lo fecero scendere, ammanettato con ferri da tortura medievale.

La gente lo insultava, gli sputavano addosso. Era stato arrestato quasi nove ore prima: ma tutto veniva ricostruito per la diretta al tg. Oggi la legge vieta di diffondere immagini degli indagati, eppure ne vediamo ogni giorno in primo piano sbattuti sui giornali e in tv. Della Valle ha raccontato che subito sin dal primo interrogatorio, quattro giorni dopo l’arresto, fu evidente che era stato preso un granchio colossale. La prima domanda fu se conosceva Domenico Barbaro, un detenuto, pilastro dell’accusa. Dalla redazione di Portobello saltò fuori una corrispondenza fra l’ufficio legale della Rai e questo Barbaro, che chiedeva 800mila lire per alcuni centrini di seta che aveva mandato per la trasmissione, e che erano andati persi. Quando tirai fuori la prova di quella corrispondenza – racconta Della Valle – il cancelliere diventò bianco come un cencio. La seconda consistette nel mostrare la foto sbiadita di una donna e di chiedere a Tortora se la conoscesse. Enzo chiese al giudice un’indicazione per aiutarlo a ricordare, ad esempio che mestiere facesse quella donna. Il magistrato gli rispose così: “E che mestiere vuole che faccia? La puttana”. La terza domanda fu se era mai stato a Ottaviano. E Tortora rispose di no, disse che di Ottaviano aveva forse scritto sul Monello parlando del terremoto dell’Irpinia. Fine dell’interrogatorio.

Da allora iniziarono le indagini per rendere credibili le accuse dei pentiti che dicevano di aver visto Tortora spacciare nel ristorante La Vecchia Milano. Il pm mandò un carabiniere a verificare se esisteva davvero il ristorante, e siccome il ristorante esisteva veramente, Tortora rimane in carcere… e così via con l’agendina coi numeri sbagliati e tutto il resto. Condannarono Tortora a dieci anni. Poi con l’appello dopo tre anni fu assolto. Ma secondo Della Valle non fu un errore, ma si costruì apposta un processo inventato, con pentiti che potevano stare insieme per coordinare le loro calunnie.

Ma nessuna azione penale, o anche indagine di approfondimento, è stata mai avviata, e nessun procedimento disciplinare è stato mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pm e dei giudici che condannarono Tortora. Lucio di Pietro, diventò Procuratore Generale a Salerno, prima di morire quattro anni fa. Felice di Persia, ex coordinatore della direzione distrettuale antimafia a Napoli, finì al Csm. Mentre il presidente dell’allora collegio dei giudici, Luigi Sansone presidente della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, Diego Marmo procuratore generale a Torre Annunziata, Orazio Dente Gattola presidente di sezione del Tribunale di Torre Annunziata. L’errore lo fecero i pm, ma pagò Tortora, l’imputato innocente. Chi può dire che oggi andrebbe diversamente?

Annarita Digiorgio

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