La visita in Egitto del presidente turco Erdogan costituisce il tassello più significativo nella galleria delle inversioni a “U” nella politica estera della Turchia. Nel giorno di San Valentino, è andato ad abbracciare al Cairo Abdel Fattah al-Sisi, che dal 2013 e fino a non molti mesi fa aveva definito in più occasioni, “assassino” e “golpista”. Il gelo tra i due leader iniziò quando Sisi prese il potere nel 2013 con un colpo di stato con il quale fu destituito il presidente Morsi che condivideva con Erdogan una “vicinanza ideologica e di fratellanza”.
Sisi sospese la Costituzione e mise in atto una feroce repressione militare contro i sostenitori del presidente. La cacciata di Morsi dal potere fu una grande delusione per la Turchia, che aveva molto investito sulla creazione di un “asse strategico Ankara-Cairo“. Da allora Ankara ha condannato il colpo di stato e non ha riconosciuto ad Sisi alcuna legittimità perché salito al potere con un golpe. La Turchia ospita ancora membri dell’opposizione egiziana legata al defunto presidente Morsi appartenente alla Fratellanza musulmana, ma negli ultimi anni Erdogan ha cercato di ricucire i legami spezzati con Sisi dal 2013 ed è stato costretto a smettere di sostenere i Fratelli musulmani invitandoli ad abbandonare il paese e ha fatto pressioni sui loro media affinché cessassero di fare propaganda contro Sisi.
Il leader turco, dopo aver litigato con tutti i suoi vicini regionali, negli ultimi due anni ha avviato processi di normalizzazione delle relazioni anche con i suoi più acerrimi nemici, a partire dal dittatore siriano Bashar al-Assad fino a quello egiziano Sisi, dopo aver normalizzato le relazioni con l’Arabia saudita, gli Emirati arabi uniti e dopo aver messo da parte la sua “diplomazia delle cannoniere” nel Mediterraneo. Sisi, per il ritorno a relazioni costruttive tra i due paesi, ha preteso da Ankara la fine del sostegno dato agli oppositori egiziani rifugiatisi in Turchia dopo il golpe del luglio del 2013 e tiene molto a sviluppare intense relazioni economico-commerciali e nel settore della Difesa con Ankara anche perché il sostegno dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi uniti, finanziatori del colpo di stato del 2013, non è più sufficiente per i principali progetti dell’Egitto. C’è bisogno di sangue fresco.
La normalizzazione delle relazioni di Ankara con Riyad e Abu Dhabi, che si contendono il centro del potere regionale, ha convinto al-Sisi che era giunto il momento di riappacificarsi con Ankara, mettendo da parte ogni rancore. Il fatto che la Turchia e l’Egitto abbiano recentemente intensificato il dialogo sulla Libia e che Ankara abbia stabilito contatti con l’amministrazione di Bengasi, che controlla la parte orientale del paese nordafricano, e in cui presto verrà aperto il consolato generale, sono considerati importanti sviluppi che hanno indotto Ankara e il Cairo a dialogare. Anche se Sisi si mostra ancora schivo perché guarda con molto scetticismo Erdogan è particolarmente interessato allo sviluppo dell’agenda economico-commerciale, a quella militare e al controllo di questioni complesse come quelle riguardanti il dossier libico, l’equazione energetica nel Mediterraneo orientale, le dispute sulle giurisdizioni marittime e la questione della fine del sostegno turco ai Fratelli musulmani.
Sono lontani i tempi in cui, nel 2011, in piena “primavera araba”, ıl leader turco fu accolto in piazza Tahrir al Cairo come una rockstar e tenne un discorso storico rivolto alla Fratellanza musulmana. Erdogan, all’epoca primo ministro, lanciò i suoi messaggi più promettenti proprio da quella città. Nei suoi storici comizi sostenne che “i paesi islamici non avrebbero dovuto aver paura della laicità e che laicità non significava ostilità verso la religione”. Alle persone scese in piazza per rivendicazioni democratiche lanciò appelli affinché non usassero la violenza e rispettassero i diritti umani fondamentali. Ora quell’Erdogan non esiste più e la visita al Cairo è avvenuta con un programma completamente diverso.
Per comprendere bene il significato dell’arrivo di Erdogan in Egitto è sufficiente osservare la composizione della delegazione che lo ha accompagnato, costituita da ben sette ministri e tre consiglieri: il ministro degli Esteri, quello dell’Economia, della Difesa, della Salute, dell’Industria e della Tecnologia, del Commercio e quello della Famiglia. Nel Nord Africa la Turchia è il primo partner dell’Egitto. Il presidente Erdogan e Sisi, hanno firmato la dichiarazione congiunta sulla ristrutturazione delle riunioni del Consiglio di cooperazione strategica ad alto livello e hanno concordato di aumentare il volume degli scambi commerciali portandoli dagli attuali 2 miliardi di dollari ai 15 nel più breve tempo possibile.
Le parti hanno discusso anche della questione del rinnovo degli accordi esistenti o della stipula di nuovi per far avanzare ulteriormente le relazioni economiche. Per la Turchia, quello del Mediterraneo orientale è uno degli argomenti più importanti da affrontare, riguardo al quale spera di giungere alla firma di un accordo sulla giurisdizione dei confini marittimi per lo sfruttamento delle risorse energetiche nei fondali di quel mare. L’Egitto mostra molto interesse ai prodotti dell’industria della difesa di Ankara. Il ministro degli Esteri turco Fidan in una delle sue ultime dichiarazioni ha sottolineato l’interesse del Cairo per i droni di fabbricazione turca e sarebbe già imminente una commessa.
Nell’incontro i due leader hanno anche affrontato il tema scottante della situazione a Gaza e dell’operazione militare in corso di Israele contro Hamas e la conseguente gravissima crisi umanitaria e la preoccupante questione della sicurezza regionale. Sebbene Egitto e Turchia condividano gli stessi obiettivi sulla questione palestinese, il delicato equilibrio delle relazioni del Cairo con Israele e le sue preoccupazioni sulla sicurezza, con particolare riguardo al confine di Rafah, inducono l’Egitto a seguire una politica diversa da quella filo Hamas adottata dalla Turchia sia in termini di retorica che di pratica.
La visita al Cairo di Erdogan è storica non solo per il ritorno a pacifici e produttivi rapporti tra le due potenze regionali, ma anche per tutto il contesto della regione. Non è un caso che questa visita è stata seguita da vicino da Israele, Repubblica di Cipro, Grecia, Libia, Sudan e da diversi paesi arabi. La Turchia, che era in contrasto con l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo che sostenevano Sisi, si era trovata isolata dallo sviluppo dell’equazione energetica nel Mediterraneo orientale a causa delle fredde relazioni con Egitto, Israele e con la Repubblica di Cipro, ed era entrata in un periodo di “preziosa solitudine”. Con l’incontro tra Erdogan e Sisi, ora Ankara sembra essere completamente uscita da quella “solitudine” regionale e può tornare a giocare il ruolo a cui si sente chiamata e cioè quello di pivot nelle questioni regionali, di “facilitatore” di pace nelle varie crisi e può rientrare nella partita energetica per lo sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo oriental.