L'allargamento della Nato
“Erdogan da dittatore ad amico, che fine hanno fatto i nostri valori?”, intervista a Nicola Fratoianni
Su pace, lotta per il disarmo, l’essere dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi, oltre il “governismo”, c’è ancora vita a sinistra. Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana e deputato di LeU, l’argomenta così.
“La Nato si è venduta a Erdogan gli eroi di Kobane”. Così Il Riformista titolava in prima pagina a conclusione del vertice Nato di Madrid. Di quella “vendita” uno dei contraenti è l’Italia, con il capo del Governo presente al vertice.
Sull’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia si è giocata una partita sporca, e l’esito è semplicemente indegno. Va oltre quanto previsto nel patto trilaterale tra Erdogan e i due paesi scandinavi. Si è determinato un via libera definitivo al dittatore nella sua campagna di repressione del popolo curdo e più in generale di ogni opposizione. Gli “eroi e le eroine di Kobane” sono passati senza colpo ferire da baluardo contro il terrorismo del Califfato a terroristi. E il nostro Presidente del Consiglio che solo qualche mese fa aveva definito in Parlamento Erdogan dittatore, si è voltato dall’altra parte. E allora diciamolo, su questa vicenda salta tutta la retorica di cui siamo inondati da mesi. Quella che ci ha fatto passare dalla giusta condanna, netta e senza ambiguità dell’aggressione russa all’Ucraina alla guerra di civiltà, allo scontro di valori, alla necessità di arruolarsi per difendere le democrazie dall’assalto delle autocrazie. Che Putin sia un autocrate non ho dubbi. Ma che Erdogan non sia un sincero democratico ma uno dei peggiori dittatori sulla scena mi pare altrettanto evidente. Dove sono finiti allora i nostri valori?
Un anno fa, Mario Draghi aveva definito pubblicamente il presidente turco Recep Tayyp Erdogan un “dittatore”. Un anno dopo, il “dittatore” si è trasformato in partner non solo affidabile ma amico. Draghi folgorato sulla via di Ankara?
Come ho appena detto non c’è alcuna folgorazione. È la real politik bellezza. Quello che colpisce però è la naturalezza con cui questo passaggio si è consumato. Qui mi pare che pesi anche la natura del personaggio: non traspare nemmeno un filo di imbarazzo, nessun tentativo di accompagnare il passaggio con qualche cenno, seppur formale, al rispetto dei diritti democratici. Emerge in modo chiaro l’assenza di qualsiasi vincolo politico, rispetto al Parlamento e perfino al Paese. La presentano come una dimensione tecnica del potere, che agisce con freddezza e apparente neutralità, ma la realtà parla di conseguenze tutt’altro che neutre. Stiamo discutendo di politica estera, di come si disegna il mondo negli anni a venire e la scelta degli “amici” è una questione maledettamente seria. Ancora una volta, come abbiamo già visto a proposito delle sanzioni a Putin sulle materie energetiche, la difesa dei valori e della libertà si ferma sempre sulla soglia degli affari e dei commerci. Nel florilegio di intese e protocolli vengono nascoste le similitudini, quelle che invece si vedono benissimo se si accosta il destino degli oppositori politici perseguitati da Putin e quello di quelli perseguitati da Erdogan.
In una intervista a questo giornale, Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia ha affermato che con la guerra siamo diventati ostaggi dei dittatori. Condivide questo j’accuse?
Come si può non condividerlo? Siamo arrivati al punto che basta controllare un gasdotto per potersi comperare il silenzio della comunità internazionale su ogni violazione dei diritti umani. C’è un problema etico, ma c’è anche un problema di geopolitico: un Occidente che manda questi messaggi non è autorevole né come “gendarme del mondo” né come propulsore di un nuovo ordine multipolare. Gli errori che stiamo compiendo per reazione all’invasione dell’Ucraina ci stanno portando sulla strada di una ulteriore pericolosa instabilità globale.
“Bisogna passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di pace globale. No a un mondo diviso tra potenze in conflitto, sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano”. Parole di Papa Francesco pronunciate domenica scorsa nell’Angelus. Anche lui è da infilare nella lista dei “putiniani”?
La compilazione quotidiana delle liste di proscrizione contro i pacifisti accusati di essere amici di Putin ha rappresentato un vero e proprio scandalo. Il segno di un degrado drammatico. Oggi, dopo più di quattro mesi di guerra questa accusa, infamante e indecente, si è rivelata per ciò che è: una farsa. La verità è che viviamo un’epoca nella quale il dibattito è quasi sempre organizzato sulla coppia amico-nemico, fino a considerare irrilevanti la morale, l’etica e il diritto. La novità è che questa forma del pensiero che prima apparteneva alle destre critiche con la dottrina liberale dello stato di diritto, per intenderci agli eredi di pensatori come Carl Schmitt, oggi è sussunta dalle forme argomentative non solo dei liberali ma persino di tanti intellettuali che si dicono progressisti. In fondo anche sulla pandemia le cose non sono andate poi così diversamente. La polarizzazione estrema diventa una leva per lo share e uno strumento di semplificazione. L’escalation con la guerra travolge tutto, dalle armi passa alle parole, alla cultura, allo sport. Senza lasciare spazio ad alcuna riflessione. E cosi oggi, oltre al Papa che su questi temi è stato fin dall’inizio un punto di riferimento e di speranza, dobbiamo ascoltare Kissinger che si chiede fino a quando si potrà combattere senza scatenare la terza guerra mondiale. Come è noto sono stato tra i pochi a votare sempre contro l’invio delle armi. Non è stato facile perché anche io mi sono chiesto come fare ad aiutare chi viene aggredito con una guerra. Chi ha fatto scelte diverse allora sosteneva che senza aiuti militari Putin avrebbe preso Kiev eliminando ogni spazio di trattativa. Oggi però dovrebbero rispondere a questa domanda: quando arriva il momento in cui grazie ai continui invii di armi si raggiunge un equilibrio dal quale far ripartire la trattativa? Ad un certo punto sulla stampa è trapelata la notizia di un piano italiano per la pace. Lei sa che fine abbia fatto? Il Parlamento non lo ha mai visto e nessuno ha capito se fosse davvero un piano del Governo o una iniziativa della Farnesina. L’ho chiesto a Draghi durante l’ultima discussione parlamentare in vista del Consiglio Europeo, nessuna risposta.
Sempre nell’intervista succitata, Noury ricorda che ad aprire le ostilità con le Ong impegnate nei soccorsi nel Mediterraneo è stato l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, esponente di punta del Pd. Oggi a guidare il dicastero della Difesa, battendo ogni record quanto a ampliamento delle spese militari, è un ministro Pd, Lorenzo Guerini. E dell’attuale Governo fanno parte ministri di sinistra… Conclusione?
Abbiamo davanti da molti anni questi segni di disfacimento. La modernità non è più sinonimo di progresso, è solo il dominio della competizione, anche sullo scenario internazionale. Zygmunt Bauman ha parlato di”cecità morale” e credo avesse ragione, sentiamo tutti di vivere in tempi di brutale insensibilità e indifferenza. Questo capitalismo ha cancellato la dignità dell’uomo o della donna “della strada”, vale qualcosa solo chi è famoso, ricco o potente. I corpi straziati dalle torture in Libia valgono solo il valore delle loro foto sui giornali: per il resto sono perduti, sacrificabili sull’altare della “ragion di Stato” come di fatto ci dissero le famose parole di Minniti sul “pericolo democratico”. Lo stesso accade con la vendita degli armamenti e la spesa militare: nessuno si chiede a cosa serviranno quelle armi. Anche la dolorosa vicenda di Giulio Regeni fa parte di questo terribile panorama. E persino l’indifferenza verso le minacce del cambiamento climatico: il destino dell’intero genere umano è poca cosa di fronte alla competizione economica. Chi ha smesso di aspirare a cambiare il mondo è scivolato fino a negare la funzione emancipatoria della politica, ed diventato mimetico ai fenomeni che si manifestano nella società: questo è il problema ed è anche la vera ragione della crisi della sinistra. La soluzione? Smettere di pensare che sia sufficiente resistere a questo processo. Siamo diversi, diamo un valore alla vita dei “perdenti” di fronte alla violenza del potere dei vincenti, ma non basta che qualche migliaio di attivisti rivendichi la propria diversità. Dobbiamo farci vettori di una lotta politica vera: la folla di coloro che per il sistema mediatico sono solo comparse deve conquistare la scena, deve avere forza e visibilità. Per questo il nostro rovello oggi non è quello di misurare le distanze nelle alleanze come è stato fatto per più di un decennio senza successo, ma è quello di conquistare la massa critica per intervenire sull’ordine del discorso politico e trasformarlo. Dobbiamo portare il paese oltre il commissariamento e oltre le 50 sfumature di ‘né di destra né di sinistra’ che lo giustificano: le tensioni di queste ore nella maggioranza dimostrano in primis che il trasversalismo tecnico è una costruzione artificiosa, destinata al fallimento, generatrice di quella instabilità che vorrebbe azzerare. Tanta parte dei cittadini vuole la possibilità, contemporaneamente, di tenere la destra lontana dal governo e mettere la parola fine all’agenda Draghi. Sinistra Italiana ed Europa Verde sono in connessione con questa necessità, ci comporteremo di conseguenza.
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