Erdogan e la pulizia etnica dei curdi, sedotti e abbandonati dall’Occidente dopo aver combattuto l’Isis

Vuole conquistare Kobane. Vuole portare a termine la pulizia etnica nel Rojava curdo siriano. Vuole invadere la Siria che, come l’Ucraina, per quanto in macerie è ancora uno Stato indipendente. Ufficialmente in nome della “guerra al terrorismo”. Di fatto per realizzare il disegno imperiale neo-ottomano e per essere rieletto alla presidenza della Turchia. «Se Dio vuole, presto li eradicheremo con i nostri carri armati, la nostra artiglieria e i nostri soldati», ha proclamato Recep Tayyp Erdogan in riferimento ai militanti curdi nel nord della Siria e dell’Iraq. «Sappiamo molto bene chi arma e incoraggia i terroristi», ha aggiunto.

Le avvisaglie di una invasione si sono già manifestate nei giorni scorsi. Sono 31 i morti provocati dai raid turchi nel nord della Siria, mentre i feriti sono 40. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Gli attacchi aerei, condotti tra domenica notte e l’altro ieri ieri prima dell’alba dall’esercito turco nelle province di Raqa e Hassake (nord-est) e Aleppo (nord), hanno causato la morte di 18 combattenti curdi e membri delle forze alleate locali, 12 soldati siriani e un civile, riferisce l’Ong, che dispone di una vasta rete di fonti in Siria. L’Ong ha anche denunciato la morte di un giornalista, IssamAbdallah, corrispondente siriano di un’agenzia di stampa curda mentre l’agenzia di Damasco Sana ha confermato la morte di diversi soldati siriani, senza specificarne il numero. Gli attacchi hanno preso di mira principalmente la città settentrionale di Kobane e i suoi dintorni vicino al confine turco, compresi i silos di grano nei pressi di Al-Malikiyah (nord-est) e una centrale elettrica in un’area controllata dalle Forze democratiche siriane, composte per la maggior parte da curdi.

L’attacco è per ora concentrato su diverse aree sotto il controllo delle forze curde siriane e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), accusato da Ankara dell’attentato del 13 novembre scorso a Istanbul in cui sono morte sei persone. Queste zone secondo il ministero della Difesa turco “vengono utilizzate come base dai terroristi”. «Questi attacchi dello stato di occupazione turco non resteranno senza risposta. Al momento e nel luogo appropriato, risponderemo con forza ed efficacia», si legge in una nota delle Forze democratiche siriane. La nuova operazione militare turca contro le milizie curde in Siria rischia di scatenare una nuova crisi internazionale in Medio Oriente. La violenza con la quale i missili del sultano si sono scagliati contro quelli che considera i suoi principali nemici nel Rojava siriano ha provocato la reazione anche della Russia, Paese che da Ankara è visto più come un partner che come un avversario, e rischiano anche di creare uno scontro interno alla Nato, visto che uno di questi ha colpito una base delle Forze Democratiche Siriane condivisa però con l’esercito americano, che mantiene una sua presenza nell’area. Lunedì il presidente turco aveva allontanato qualsiasi ipotesi di frenata dell’offensiva ribattezzata “Spada d’artiglio”, affermando che l’operazione non si limiterà ai raid aerei, ma potrebbe coinvolgere anche truppe di terra. Ma questa aggressività rischia di creargli problemi nei rapporti con Stati Uniti e Russia.

Un drone armato di Ankara, come riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, ha infatti colpito la base Usa-Sdf nella regione di Hasake, uccidendo tre miliziani curdi. Azione avvenuta poco prima del messaggio inviato dal Cremlino in cui si avvertiva l’esecutivo turco che alcune azioni in Siria possono provocare un’ulteriore “destabilizzazione”, invitando, tramite il portavoce Dmitry Peskov, tutte le parti coinvolte alla moderazione. «Russia e Turchia hanno opinioni differenti sulla situazione in Siria e su chi non abbia rispettato gli impegni del memorandum di Sochi – ha spiegato il portavoce di Putin Queste differenze sono state ripetutamente discusse dai due presidenti. Grazie a Dio, le relazioni amichevoli e di partenariato con la Turchia rendono possibile discutere queste differenze in modo aperto e costruttivo». La Russia, tramite l’inviato speciale ad Astana, dove si terrà un incontro tripartito tra Russia, Turchia e Iran sulla Siria, ha poi aggiunto di sperare che Erdogan mostri “moderazione” e si astenga da “qualsiasi uso eccessivo della forza” in Siria: «Speriamo di convincere i nostri colleghi turchi ad astenersi dal ricorrere all’uso eccessivo della forza sul territorio siriano» per “evitare l’escalation di tensione”. Intanto, però, Ankara fornisce i numeri della nuova operazione militare nel nord siriano, dopo la campagna di Afrin e Tall Rifat ribattezzata “Ramoscello d’ulivo” che ha costretto migliaia di civili a lasciare le proprie case per fuggire dalle violenze delle milizie islamiste cooptate dalla Turchia. E dichiarano di aver “neutralizzato circa 184 terroristi del Pkk” nell’operazione aerea transfrontaliera lanciata domenica tra il nord dell’Iraq e il nord della Siria, dove il partito, a loro parere, “ha nascondigli illegali” e pianifica “attacchi sul suolo turco”.

Sono 89 gli obiettivi, inclusi rifugi, bunker, grotte, tunnel emagazzini che sono stati distrutti nella prima fase dell’operazione. «Le forze armate turche stanno mostrando un livello di sensibilità che nessun esercito ha mostrato per non danneggiare i civili, l’ambiente, le strutture storiche, culturali e religiose, sia nella pianificazione che nell’esecuzione delle attività. L’esercito turco farà tutto ciò che deve essere fatto in linea con tutte queste sensibilità fino alla fine». Il ministro della Difesa ha poi concluso dicendo che dall’inizio dell’anno la Turchia ha “neutralizzato 3,585 terroristi”. Annota l’inviato de La Stampa in Medio Oriente, Giordano Stabile, che Siria e Turchia le conosce molto bene: «A più riprese Erdogan ha detto nei suoi comizi nell’Anatolia centrale che anche Kobane sarebbe “tornata” sotto il suo controllo, a completare la fascia di sicurezza, di fatto un pezzo sempre più grande di Siria annesso alla Turchia. Ad Afrin, come a Tell Abyad, oggi nelle scuole si insegna in turco, e nei negozi si paga con le lire che portano l’effigie di Ataturk. La popolazione curda è in gran parte fuggita, centinaia di migliaia di profughi siriani di etnia araba hanno preso il loro posto. Adesso Kobane è più che mai nel mirino. Per Erdogan è la formula magica che gli permetterebbe di far quadrare tutti cerchi. La terrificante crisi economica ha messo a dura prova la sua base elettorale, specie l’inflazione all’80 per cento che divora gli stipendi di impiegati e militari. I tre milioni e mezzo di profughi siriani sono diventati un peso e un bersaglio dei ceti più esposti alla crisi. L’idea di rimandarli in Siria, nei territori strappati ai curdi, e al loro posto, è diventata una necessità».

Una necessità avallata da quanti già una volta hanno tradito i curdi: l’America di Trump, l’Europa. Kobane fu liberata dalle milizie curde, donne e uomini, che combatterono i tagliagole dell’Isis, mentre i carri armati turchi erano schierati al confine senza sparare un colpo contro i tagliagole dello Stato islamico. L’Occidente li ha ripagati, gli eroi di Kobane, con il via libera alla pulizia etnica nel Nord-Est della Siria dato al sultano di Ankara, oggi lodato per il suo ruolo di mediatore nella guerra in Ucraina. E oggi la storia si ripete. Un nuovo tradimento è in atto. A compierlo sono i soliti noti.