Hanno sfidato ogni divieto, i giovani studenti in marcia lungo le strade di Istanbul verso Saraçhane, per manifestare la loro rabbia e il loro sostegno per il sindaco dietro le sbarre. Hanno superato barricate, hanno affrontato i famigerati Toma (i cannoni ad acqua), hanno sfidato i lacrimogeni della polizia in assetto antisommossa. Hanno marciato a migliaia in una megalopoli militarizzata, giovani e anziani, donne e bambini, studenti e lavoratori; hanno camminato per ore e per chilometri, pacificamente.

Si sono recati a piedi in quella piazza del municipio diventata il cuore simbolico di una lotta di resistenza per la difesa della democrazia, perché il servizio di trasporto pubblico era stato sospeso dalle autorità per rendere difficili le adunate. Un fiume si è recato lì, a Saraçhane, davanti alla sede centrale della Municipalità metropolitana di Istanbul (İBB), nel distretto di Fatih, per stare idealmente accanto al loro sindaco, Ekrem İmamoğlu, arbitrariamente arrestato assime a oltre 100 altri oppositori, tra cui sindaci distrettuali e diversi funzionari di area del Partito repubblicano del popolo (Chp).

L’arresto di İmamoğlu e il boom nei sondaggi contro Erdogan

In queste ore la situazione è molto critica in Turchia, si respira un’aria che ricorda le atmosfere di un post golpe. Özgür Özel, presidente del partito repubblicano, ha tenuto il suo discorso dal balcone e ha subito sottolineato il fatto che il sindaco arrestato sarà comunque nominato candidato del Chp nelle primarie di domenica 23 marzo nella sfida contro Erdoğan alle presidenziali, perché, a maggior ragione, il suo arresto contribuirà ad aumentare i consensi dell’opinione pubblica, come stanno rilevando i più prestigiosi istituti demoscopici turchi i quali ora danno a İmamoğlu un vantaggio su Erdoğan di oltre due milioni e mezzo di voti. “Se il governo nominerà un amministratore fiduciario per defenestrare dalla carica di sindaco İmamoğlu, noi resisteremo e non lasceremo il palazzo del Municipio di Istanbul nelle mani del governo”, ha minacciato Özel. Molti manifestanti si sono lamentati anche delle difficoltà finanziarie che il Paese attraversa. La valuta turca è crollata a un minimo storico. La Borsa valori è in caduta libera. La Banca centrale in pochissimi minuti ha bruciato 10 miliardi di dollari per stabilizzare la lira dopo la notizia dell’arresto di İmamoğlu.

Il sindaco rivale di Erdogan

İmamoğlu e gli altri oltre cento oppositori arrestati, sono accusati in due indagini separate riguardanti la lotta contro il terrorismo e la corruzione. Il sindaco era pronto a candidarsi alle primarie presidenziali del Partito repubblicano, il suo partito, domenica, 23 marzo, giorno della sua nomination. İmamoğlu è considerato da tutti gli analisti il più insidioso rivale del presidente Recep Tayyip Erdoğan per la corsa alle presidenziali. Sul tetto dell’autobus dove i politici di opposizione stavano tenendo i loro discorsi alla folla, c’era anche la moglie del sindaco, Dilek İmamoğlu, che ha preso la parola e ha detto: “Non è stato arrestato solo mio marito, ma è stata arrestata anche la volontà di 16 milioni di abitanti di Istanbul. Oggi, assieme a İmamoğlu, sono stati incarcerati lo stato di diritto, la democrazia e la giustizia”.

Erdogan come Putin, ma Turchia non è Russia

È importante sapere che Erdoğan non sta solo cercando di impedire a Ekrem İmamoğlu di diventare presidente, ma vuole anche riprendersi Istanbul. Infatti, con l’annullamento del suo diploma di Laurea, per un pretestuoso vizio di forma, gli impedisce di candidarsi alle presidenziali. Mentre con l’accusa di terrorismo, lo rimuoverebbe dalla carica di sindaco per nominare al suo posto il governatore di Istanbul.
Il leader turco ha deciso di essere Putin, ma la Turchia non è la Russia. L’opposizione c’è, è forte e inossidabile; ha diversi leader molto popolari, non si fa intimidire e grida al golpe. L’arresto dell’esponente politico di opposizione più popolare del Paese, vicino alle cancellerie europee, potrebbe costare molto caro al presidente.

Le mosse di Erdogan prima delle elezioni

Al momento, nelle carceri turche sono rinchiusi i leader di tutti i maggiori partiti d’opposizione, dietro le sbarre abbiamo il leader carismatico curdo Selahattin Demirtaş, il presidente del Partito della Vittoria (Zafer Partisi) Ümit Özdağ e ora Ekrem İmamoğlu. Siamo all’esportazione del modello putiniano in Turchia. Proprio come ha fatto Putin in Russia, Erdoğan modella le elezioni a suo vantaggio molto prima che queste si svolgano, per preparare il terreno a lui più favorevole per garantirsi una sicura vittoria arrestando oppositori, politici, attivisti della società civile e neutralizza gli avversari più insidiosi. Erdoğan scommette qui, con la pratica dell’eliminazione dei leader d’opposizione per via giudiziaria, che Trump non si preoccuperà affatto per l’arresto di İmamoğlu dati gli interessi degli Stati Uniti in Siria, ma soprattutto perché questa amministrazione Usa dei diritti umani e delle democrazie non sa che farsene.

E scommette inoltre, sul fatto che l’Europa avrà probabilmente una reazione smorzata dato che ora sembra percepire la Turchia come un sempre più comodo e prezioso alleato a protezione del suo fianco sudorientale, dopo la sostanziale rottura operata da Trump del patto euroatlantico e come un alleato che fornisce un sostegno all’Ucraina, che è fondamentale per il contenimento di Mosca nel Mar nero e nel Mediterraneo e che può tornare utile nella costruzione dell’architettura di sicurezza e di difesa europea.

La storia si ripete, prima come tragedia, poi come farsa. Un tempo Erdoğan fu vittima di un regime che lo mise dietro le sbarre per estrometterlo dalla carica di sindaco di Istanbul e dalla scena politica, oggi è lui a mettere in carcere il suo principale rivale per eliminarlo dalla competizione elettorale.