La proroga della Consulta
Ergastolo ostativo, la decisione della Consulta: è fuorilegge ma teniamocelo un altro po’
La norma sull’ergastolo ostativo è incostituzionale, però la teniamo in vita artificialmente almeno per altri sei mesi, con una bella respirazione bocca a bocca da parte del Senato, del Governo e della Corte Costituzionale. Che importa se nel frattempo un certo numero di detenuti, spesso anziani e malati, che dopo oltre 26 anni di carcere avrebbero diritto alla liberazione condizionale, dovranno attendere ancora e ancora e ancora? E così Giuliano Amato, il Presidente della Corte Costituzionale che decadrà nel prossimo settembre, ha lasciato come testamento morale ai suoi colleghi e al successore allo scranno più alto, un provvedimento di rinvio dell’ergastolo ostativo fino all’otto novembre.
Data entro la quale il Senato dovrà concludere la stesura di una nuova legge che non sia in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Ma intanto, invece di decidere con una sentenza, ha di nuovo scansato il “fastidio”. Sancendo così che la mela marcia della norma illegittima possa continuare a vivere nel cestino delle mele sane. Certo, le sirene dell’imbattibile squadrone dei militanti ”antimafia”, dal partito dei pm fino a quello dei Cinque stelle guidato dal condottiero Travaglio, si erano fatte ben sentire, lanciando il solito allarme sui “mafiosi liberi”. Ultimo proprio ieri l’ex procuratore Giancarlo Caselli il quale, esibendo la propria personale conoscenza, dopo la sua permanenza a Palermo, non solo del fenomeno mafioso, ma anche della psicologia criminale dei boss e anche dei picciotti, inneggiava alla permanenza della disciplina del doppio binario. Proprio quello che, dividendo il mondo dei condannati in buoni (i “pentiti”) e cattivi (tutti gli altri), è stato dichiarato incostituzionale e contrario allo spirito degli articoli 3 e 27. Il doppio binario è stato mantenuto dal testo approvato alla Camera dei deputati, che pone una serie di vincoli-capestro a carico del condannato non “pentito”, tali da rendere pressoché impossibile la sua speranza di accedere, al pari dei collaboratori di giustizia, alla liberazione condizionale.
Eppure la Consulta, pur nella sua timidezza di un anno fa, quando aveva delegato al Parlamento la responsabilità di sancire con una nuova legge l’incostituzionalità di una norma che vincolava solo alla collaborazione la possibilità di sottrarsi alla morte sociale dell’ergastolo ostativo, era stata molto chiara. Non è detto che chi fa il “pentito”, visto che attua uno scambio di favori con lo Stato, sia sempre sincero e abbia davvero interrotto il rapporto con la criminalità organizzata, aveva scritto nell’ordinanza. Così come non è scontato, aveva aggiunto, che chi pure non collabora con la magistratura sia sempre socialmente pericoloso e ancora legato a una cosca. Ma altrettanto esplicito era stato il verdetto della Corte di Strasburgo con la famosa “sentenza Viola” che aveva condannato l’Italia per gli stessi motivi. Era il 2019, e il Parlamento avrebbe avuto il dovere già allora di cambiare la legge incostituzionale. Invece era stata addirittura approvata la “spazzacorrotti” voluta dal ministro Bonafede, che aggiungeva un carico da novanta alla normativa esistente, equiparando ai reati di mafia quelli contro la Pubblica Amministrazione.
Invano, nella discussione che si è svolta alla Camera nei mesi scorsi, il deputato radicale Riccardo Magi aveva tentato almeno questa correzione, anche culturale. Ma era stato impossibile sottrarre il Pd dalle grinfie tagliagole dei Cinque stelle. E forse in parte anche dalla propria storia, quella che negli anni di Mani Pulite aveva indotto i post-comunisti di allora ad agire in simbiosi con i pubblici ministeri anche contro i cugini socialisti di cui speravano poter ereditare le spoglie. Era il 17 settembre di quello stesso 2019 della sentenza Viola, quando un altro ergastolano, Salvatore Pizzini, assistito dall’avvocato Giovanna Araniti, si rivolgeva alla Corte di Cassazione con un ricorso contro l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza di L’Aquila aveva respinto la sua richiesta di libertà condizionale. Il detenuto aveva già scontato oltre ventisette anni di carcere, più dei ventisei richiesti dall’articolo 176 del codice penale per l’accesso al beneficio. La sua legale aveva posto la questione di incostituzionalità della norma che prevede il doppio binario, quello che piace all’ex procuratore Caselli e ai travaglini ovunque collocati anche in Parlamento.
L’ordinanza della prima sezione della cassazione, presieduta da Antonella Patrizia Mazzei, che accoglie il ricorso con il parere contrario del pg, ricostruisce anche il percorso carcerario e di vita di Salvatore Pizzini. Che non è un eroe e neanche un innocente. Ma non sarebbe il caso che tutti questi soldati, perennemente armati contro il pericolo di uscita dal carcere di boss pericolosissimi, leggessero le carte e si informassero su chi sono e come si comportano questi ergastolani che il dottor Caselli racchiude tutti in un sol mazzo definendoli come “irriducibili”? Ecco che cosa abbiamo letto nell’ordinanza della cassazione, quella da cui tutto è partito, fino alla decisione della Consulta di un anno fa, e poi al lavoro piuttosto inutile della Camera e alla decisione della Corte Costituzionale di ieri, che ha ributtato il pallone nel campo della politica. «Il ricorrente –si legge- come risulta agli atti, ha addotto di aver preso parte in modo proficuo all’opera di rieducazione, di cui si ha conferma dai provvedimenti di liberazione anticipata; di essersi avvalso con profitto della possibilità di lavoro e di studio offerte dai programmi di trattamento operativi nei vari Istituti di detenzione; di aver conseguito il titolo di agronomo e di esser stato inserito, con risultati positivi, in un progetto agricolo; di aver frequentato assiduamente corsi di studio e di aver partecipato a concorsi letterari con riconoscimento di premi».
A questo aggiungono i giudici che «…si dà atto della rivisitazione critica del suo vissuto e dell’avvenuto riconoscimento degli errori commessi, con parziale ammissione delle proprie responsabilità e con l’espressione della volontà di allontanamento dal contesto mafioso». Tutto questo, che a noi pare tanto, non sarà sufficiente a questo uomo di sessant’anni, un’età in cui si può ricominciare una vita diversa dalla precedente, e che ne ha trascorsi più di ventisette da rinchiuso, per superare gli ostacoli dell’inversione dell’onere della prova già previsti dal testo di legge approvato alla Camera. Considerando anche il fatto che il Senato non farà da passacarte, e peggioramenti del testo sono sempre possibili. È già in agguato una proposta del senatore Pietro Grasso, e non va certo nella direzione di abolire il doppio binario. Tengono il punto fino a ora solo il Pd e il Movimento cinque stelle, la cui sub-cultura manichea è sempre pronta a entusiasmarsi per la divisione del mondo tra buoni e cattivi.
Certo, i buoni sono tutti liberi, anche quelli che non hanno fatto nessun percorso che ne garantisca un inserimento “regolare” nella società. Non devono dimostrare niente, per loro non c’è inversione dell’onere della prova. I cattivi sono tutti rinchiusi nei raparti speciali delle diverse carceri italiane, quelle che anche in questi giorni stanno visitando i dirigenti dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, Rita Bernardini, Sergio D’Elia e Elisabetta Zamparutti, che hanno incontrato anche molti dei 1.200 ergastolani «che continuano a essere vittime dell’illegalità del regime ostativo». «I detenuti nutrivano fiducia nella Consulta –scrivono i tre dirigenti nel loro comunicato-, una fiducia che è stata tradita». E chissà quanti altri “tradimenti” dovranno subire da oggi all’8 novembre. E poi quel giorno si vedrà, quando la Corte Costituzionale si riunirà di nuovo per dare la pagella al Parlamento. Con un altro presidente, però. Come definiva Marco Pannella la Corte Costituzionale? «Cupola della mafiosità partitocratica». Ecco.
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