Weekend incandescente quello appena trascorso in tema di giustizia. Per una volta non si è trattato di retate ma di opinioni condivise sugli organi di stampa. Ad aprire le danze era stato l’ex pm Antonio Di Pietro ricordando la tendenza delle Procure, sempre più in voga dai tempi di Mani pulite, di “indagare prima su chi l’ha commesso senza accertare se il reato è stato commesso”. Riferimento del Tonino nazionale al procedimento Eni-Nigeria dove, dopo tre anni di dibattimento, gli imputati sono stati tutti assolti perché il fatto non sussiste. Una assoluzione che ha creato tensioni senza precedenti in Procura a Milano mettendo in forte crisi la leadership dell’attuale procuratore Francesco Greco che aveva condiviso totalmente le scelte investigative dell’aggiunto Fabio De Pasquale.

A seguire, poi, è intervenuto il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini che per un giorno si è scordato di essere nelle chat dell’ex zar delle nomine Luca Palamara e ha sparato la proposta di valutare i magistrati a seconda dei risultati ottenuti. «Bisogna fissare criteri più stringenti nelle procedure di nomina. Personalmente, sono dell’avviso che nel valutare la professionalità di un magistrato vi sia anche un controllo sulla qualità e sulla tenuta dei suoi provvedimenti: se ad esempio la gran parte dei processi chiesti da un pm finiscono in assoluzione o se le sentenze di un giudice civile vengono riformate in quantità, va considerato o no in una valutazione di professionalità?», ha detto Ermini. Proposta non particolarmente originale che ha però subito suscitato un coro di critiche da parte dei vertici dell’Associazione nazionale magistrati.

Che le valutazioni di professionalità dei magistrati siano tutte positive non è un mistero per nessuno. Nella tabella allegata al disegno di legge di riforma dell’Ordinamento giudiziario in discussione alla Camera ci sono numeri a dir poco sorprendenti. Le ultime statistiche raccontano che il 99,30 per cento delle toghe ha conseguito una valutazione positiva. E solo lo 0,20 per cento aveva avuto un giudizio negativo. Numeri che stridono con quella che è la realtà dei Tribunali italiani. Ma che il Csm sia di manica larga lo dimostra il caso del giudice Giulio Cesare Cipolletta, valutato positivamente dal Csm pur avendo squarciato con un pugnale le gomme delle auto dei colleghi con cui aveva avuto una discussione e azzoppato una signora al termine di un diverbio per motivi di traffico. A dire il vero esiste già adesso il criterio dell’incompatibilità “funzionale”. Criterio mai utilizzato dal Csm.

Tornando all’intervista di Ermini, il vice presidente ha ricordato che il «sistema spartitorio nel Csm ora non c’è più. C’è trasparenza nelle decisioni». Ermini avrebbe dovuto aggiungere che le nomine al Plenum avvengono spesso con lo scarto di un voto o due. E quasi sempre questi uno o due voti sono quelli dei vertici della Cassazione, membri di diritto del Csm.