L'attacco e le verifiche
“Sinwar è morto”, la conferma della tv israeliana dai risultati dei test effettuati
Ci sarebbe anche il leader di Hamas nonché mente della strage del 7 ottobre, Yahya Sinwar, tra i tre terroristi uccisi dall’esercito israeliano a Gaza. La tv locale Channel 12 sta diffondendo in questi istanti la notizia che “tutti i test effettuati confermano la sua eliminazione”, ribadendo la perfetta riuscita dell’operazione a Gaza. Conferme – così come appreso dal Riformista – arrivano anche dal Mossad.
Poco prima, in una nota ufficiale, l’esercito israeliano ipotizzava proprio la sua scomparsa: “Durante le operazioni dell’IDF a Gaza, tre terroristi sono stati eliminati. L’IDF e l’ISA – spiegavano sui social – stanno verificando la possibilità che uno dei terroristi fosse Yahya Sinwar”, ma ora sembrerebbero esserci pochi dubbi.
Sui social le foto di un cadavere che sembrerebbe quello di Sinwar
Secondo la tv pubblica Kan i tre uccisi avevano con sé banconote e carte d’identità, mentre sui social circolano già le foto di un cadavere attribuibile al “Macellaio di Gaza”, postate da alcuni soldati. “Nell’edificio in cui sono stati eliminati i terroristi non c’erano segni della presenza di ostaggi nella zona. Le forze che stanno operando continuano a operare con la dovuta cautela”, spiega l’Idf, che starebbe per annunciare la scomparsa dell’ultimo superstite della kill list.
Sinwar 62 anni, è stato per vent’anni un prigioniero nelle carceri israeliane ed ha imparato come funziona Israele. Uscito, ha dedicato la sua vita a studiare e realizzare le stragi dell’organizzazione terroristica. È stato il mediatore e il comandante, ed è stato l’uomo più ricercato del mondo. Ha vissuto per mesi se non anni in un rifugio sotterraneo nel labirinto delle gallerie di Hamas.
Sinwar e 999 palestinesi per un soldato israeliano
Così come scritto da Paolo Guzzanti sul Riformista, “Sinwar entrò in Hamas a 18 anni nel 1980. Arrestato, processato e condannato all’ergastolo fu rilasciato nel 2011 insieme ad oltre altri mille palestinesi in cambio di un solo soldato israeliano, Gilad Shalit: il giovane sergente adolescente che Israele volle liberare a furor di opinione pubblica. È stato l’unico detenuto palestinese capace di trasformare la prigionia in uno stage universitario, una ricerca sociologica e culturale. Imparò l’ebraico non soltanto come lingua ma come mentalità. E studiò le emozioni, la letteratura, i film, l’affettività degli ebrei, il loro umorismo, il valore che danno alla donna e ai bambini, imparò tutto quel che serviva per individuare i punti deboli. Ciò per gli ebrei poteva essere tollerato e ciò che è intollerabile – la memoria dell’Olocausto – e lesse sia la Torah che il Gerusalem Post, ascoltò i suoi carcerieri, la televisione, le conversazioni. Aveva imparato tutto dello Stato di Israele e dei suoi abitanti, ma più che altro il loro modo di sentire e reagire”.
E ancora: “Condannato all’ergastolo come “boia di Khan Younis”, per anni aveva strozzato o sgozzato nel suo villaggio decine forse centinaia di palestinesi apostati o sospetti di collaborare con gli israeliani. Essendo un fondamentalista aveva costituito una polizia morale che castigava le adolescenti e le donne in genere, all’uso iraniano. Fu arrestato per i suoi crimini commessi in nome e per conto di Hamas da quando aveva preso il potere sulla Striscia di Gaza dopo lo sterminio degli uomini dell’Olp”.
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