Dalla Basilicata all'ultimo singolo "Souvenir"
Esplodere come una bottiglia di spumante: il lungo viaggio di Michelangelo Vood, da Rionero alla Carosello Records
La chiameranno altri felicità: quale felicità senza un po’ di nostalgia e senza almeno un addio, senza provarci nemmeno. Quando insisteva a vivere una vita che non era la sua, quando Michelangelo Paolino Vood non inseguiva il sogno, si era spento, stava male. E quello che si è lasciato dietro spunta qua e là, è qualcosa che non passa del tutto nel suo nuovo singolo, Souvenir, il primo, l’esordio con la storica etichetta Carosello Records. A chilometri di distanza da giornate e facce tutte uguali, ad anni lontano da incombenze e responsabilità che sai che cosa gliene poteva fregare, ecco la dedica: un souvenir.
“A casa dei miei nonni paterni, che non ci sono più, ho trovato in alcuni cassetti tutta una serie di oggettini, cartoline e altre cianfrusaglie che mandavo o che portavo dalle gite scolastiche, dalle vacanze studio. Non immaginavo che le avessero conservate. Per quanto potevano essere oggetti inutili e brutti oggi hanno assunto tutta un’altra magia, come una passaporta. Questo trip mentale è diventato una canzone”. Alla produzione Giordano Colombo (già Ermal Meta, Max Pezzali, Colapesce e Dimartino, Laura Pausini e Biagio Antonacci), alla composizione Gabriele Lerna ed Edwyn Roberts. “È fantastico, ma nella foto di quando ho firmato si vede proprio quanto ero a disagio, quanto non mi sappia ancora godere il momento a volte”. Attacca così Atollo: “Non sono bravo a dimenticare tutte quelle cose che non ho più”.
Il viaggio
Michelangelo Paolino è alto, altissimo, uno spilungone che cita Harry Potter e che è cresciuto a Rionero, neanche 13mila abitanti in provincia di Potenza, Basilicata. Terra di Aglianico, acque minerali, il Monte Vulture, Giustino Fortunato e Carmine Crocco. E quindi libri sul brigantaggio, convegni sul brigantaggio, gadget sul brigantaggio. Da quelle serate tutte uguali, parchi pubblici spelacchiati, inverni lunghissimi e stazioni piccole e deserte con treni a diesel si evadeva a sfuriate di tre o quattro accordi: i Liverside. “Facevamo punk in inglese, non era proprio il momento giusto insomma, ma Rionero a suo modo è sempre stato un piccolo laboratorio creativo”.
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Non bastavano però il Festival Vulcanica che pure è arrivato alla 23esima edizione, quei pochi locali dove suonare, i Liverside per l’appunto. Dopo la laurea in lettere alla triennale – tesi su Jim Morrison – si è trasferito a Milano. “Mi sono scontrato con un impedimento, quello che volevo fare io non potevo farlo lì. Sono molto legato alla mia terra ma nutro anche sentimenti mega contrastanti. Ogni volta che scendo mi riempie un senso di euforia, riconosco sempre la mia terra: nelle persone che incontro, negli amici di una vita. Tutto sembra sempre uguale. Da un lato mi dà un senso di tenerezza che mi fa sentire a casa, al sicuro in qualche modo, dall’altro ho un senso di immobilismo gigante. E quindi quell’euforia va scemando e dopo un po’ mi viene voglia di tornare ai miei ritmi, alla mia vita. È la storia non solo mia, ma di tutti noi che siamo un po’ fuggiti”. E che continuano: la Basilicata è seconda solo al Molise per spopolamento stando ai dati Istat, la variazione relativa alla popolazione è pari al 9,5 per mille rispetto al 4,3 per mille nazionale.
Dopo questo master in comunicazione musicale aveva cominciato a lavorare dietro alle quinte del sogno: assistente al management e promozione di una piccola etichetta con studio di registrazione. “Pensavo che tutto ciò potesse unire il mio interesse da nerd per la musica con la mia passione, ma stavo male e non capivo il motivo. Non era il mio, decisi di trovarmi un lavoro ‘normale’, come dicevano i miei genitori, che non c’entrasse niente con la musica, e mi presi la magistrale, laurea su Sandro Penna. Ho ricominciato così a fare musica per i fatti miei, come in realtà avevo sempre fatto: è stato come stappare una bottiglia di spumante”.
Il sogno
Il primo contatto con Carosello quando ha vinto il concorso per autori “Genova per voi” indetto dalla Universal. Lo stesso anno aveva appena pubblicato Ruggine, il suo primo singolo autoprodotto come Michelangelo Vood. A Dario Giovannini, direttore di Carosello che lo aveva contattato per un incontro, fa ascoltare le versioni basiche, “bruttissime”, delle demo che sarebbero diventate Rio Nero, il suo EP pubblicato nel 2020. Cantautorato pop, scrittura delicata, indole per i ritornelli canterini e ballate strappamutande, un velo di nostalgia e malinconia. Oltre a tutto il bagaglio it pop con: la canzone-nome di città, il richiamo calcistico decontestualizzato, la località esotica, la citazione dalla storia dell’arte. E anche se certi pezzi potrebbe cantarli Marco Mengoni, altri ricordano Diodato, e qualcosa di Tommaso Paradiso, comincia a sfuggire ai giochini delle somiglianze, a somigliare soprattutto a lui.
“Dopo un po’ di tempo mi chiamarono per una specie di audizione, pianoforte e voce. Per mesi non si sono fatti sentire, e io pensavo la qualunque: le faremo sapere insomma”. E invece hanno fatto sapere. Michelangelo Vood procede verso un nuovo singolo entro la fine dell’anno, poi dovrebbe essere il turno di un album finalmente. Talent show no grazie per il momento. Sanremo? “Un sogno”. E anche se gli piacciono le canzoni tristi, le ballatone a prolattina e ossitocina, dice di non aver perso la sua rabbia punk: “Cos’è che mi fa arrabbiare? Il cinismo, l’indifferenza, l’individualismo, questo finto senso di condivisione e appartenenza mentre c’è tantissima gente che soffre di solitudine”.
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A chiedergli che cosa vuole fare con la musica risponde con un aneddoto: “Dopo aver ascoltato una mia canzone una persona mi ha detto che gli avevo fatto pensare al padre che non c’è più: ‘Ti volevo ringraziare, perché mi hai dato un ricordo molto bello’ mi ha detto. Questo è quello voglio fare”. E magari cominciare a godersi un po’ più il momento: Vood è il cognome della madre, un cactus nel deserto, più unico che raro dalle sue parti. “Ci sono diverse leggende a proposito: la radice verrebbe dal Nord Europa, il che potrebbe spiegare la mia altezza spropositata”. E forse pure quella vena di nostalgia.
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