L'attacco
Esplosione cercapersone, lo script che ha colpito le batterie al litio e la nuova regia di una guerra cyber
Non c’è solo la Striscia di Gaza, ma anche il fronte nord. E Israele lo sa bene. Decine di migliaia di sfollati israeliani vogliono rientrare nelle loro case, così come altre migliaia di libanesi che vivono oltre la Blue Line che separa i due Paesi. Ma il pericolo di un’escalation incontrollata è in agguato. E la scelta di Benjamin Netanyahu di inserire ufficialmente il rientro degli abitanti del nord come un obiettivo della guerra (alla pari della distruzione di Hamas), conferma che per il governo si avvicina il momento delle scelte. L’Idf è in allerta da tempo, così come l’intelligence. E ieri, c’è stato un nuovo inquietante indizio. Una serie di esplosioni che hanno coinvolto i cercapersone appartenenti agli affiliati di Hezbollah, la milizia sciita libanese che da quasi un anno ha ingaggiato una guerra “a bassa intensità” con Israele.
L’episodio
A mezzogiorno migliaia di ricetrasmittenti sono esplose nello stesso momento dopo essersi surriscaldate all’improvviso (probabilmente attraverso uno script che ha colpito le batterie al litio, o esplosivi inseriti nei cercapersone e attivati via cyber). Un episodio che ha fatto subito pensare alla mano del Mossad. Le scene in Libano e Siria sono apparse subito drammatiche. Migliaia di persone si sono accasciate a terra sanguinanti per l’esplosione dei loro “pager”. Per il governo, sono almeno 2800 i feriti. E secondo il ministro della Salute libanese, Firas al-Abyad, i morti sono almeno dieci. Tra questi anche una bambina di dieci anni. A rimanere coinvolto nelle deflagrazioni è stato anche l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, il quale ha riportato solo “una ferita superficiale”. Sette invece i feriti in Siria, con le esplosioni che hanno colpito soprattutto il quartiere di Seyedah Zeinab, roccaforte sciita di Damasco.
Secondo il Wall Street Journal, i dispositivi erano stati forniti di recente da Hezbollah ai propri miliziani. Una decisione che era stata presa ancora prima dell’attacco con cui è stato ucciso l’alto comandante Fouad Shoukr, individuato proprio grazie all’introduzione di Israele nelle reti di comunicazione del Partito di Dio. Per ovviare ai buchi nella rete di sicurezza, Hassan Nasrallah e i suoi consiglieri già a febbraio avevano ordinato ai membri del gruppo di evitare i telefonini e di comunicare attraverso nuovi dispositivi. “In questa fase, sbarazzatevi di tutti i cellulari, sono agenti di morte”, aveva dichiarato Nasrallah. E così, al posto dei cellulari sono apparsi proprio i “pager”, i cercapersone che ieri sono esplosi.
La regia di Israele
Dal Libano non ci sono dubbi sulla regia di Israele, che proprio nelle stesse ore aveva annunciato che lo Shin Bet, il servizio segreto interno, era appena riuscito a sventare un attentato di Hezbollah contro un ex alto funzionario della Difesa. E una prova della regia israeliana, per molti sono state le parole di Topaz Luk, ex portavoce di Netanyahu, che su X ha commentato un post alludendo alla possibilità che vi fosse la mano dello Stato ebraico. L’ex fedelissimo di Bibi, rispondendo alla notizia secondo il governo non avrebbe preso decisioni importanti sul Libano prima della visita a New York di Netanyahu, aveva scritto che quell’ipotesi “non è durata molto”. Il commento è stato immediatamente cancellato e l’ufficio del premier ha preso le distanze dalle affermazioni del funzionario. “Topaz Luk da alcuni mesi non è portavoce del primo ministro e non è coinvolto del più ristretto cerchio delle discussioni” ha dichiarato lo staff di Netanyahu. Ma per molti non vi sarebbero comunque dubbi sul fatto che queste esplosioni siano il risultato di un piano architettato dagli 007 di Israele.
Tensione
Hamas e Jihad islamica palestinese hanno già espresso solidarietà. E Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha condannato “l’atto terroristico del regime israeliano che ha preso di mira civili libanesi”. La tensione è ormai oltre i livelli di guardia, al punto che nella regione, oltre all’inviato Usa, Amos Hochstein, è prevista anche una visita del capo del Pentagono, Lloyd Austin. L’amministrazione Biden vuole evitare a ogni costo l’escalation e una guerra aperta, e ne sta parlando non solo con il governo ma anche con l’opposizione (ieri, dopo Benny Gantz, i funzionari americani hanno parlato a Washington anche con l’altro leader anti-Netanyahu, Yair Lapid). E quello che preoccupa gli Stati Uniti è anche l’eventuale allontanamento dal governo di Yoav Gallant, il ministro della Difesa sempre più distante dalle idee di Netanyahu (i due ieri si sono incontrati dopo le esplosioni in Libano e Siria).
Molti ritengono che sia prossimo alla rimozione dall’incarico, sostituito da Gideon Sa’ar, fresco di accordo con Bibi. Secondo alcuni media, l’ipotesi è congelata proprio per le tensioni a nord. E mentre Gantz spera che il leader di New Hope ci ripensi, la politica israeliana vive ancora una fase di confusione. Tutto questo mentre si avvicina l’anniversario del 7 ottobre e il destino degli ostaggi è appeso a un filo insieme al futuro di Gaza.
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