Il faro che aveva illuminato le vicende iraniane lo scorso autunno si è riacceso: il 4 settembre il New York Times ha reso noto che il nome del giovane funzionario svedese dell’Unione Europea, incarcerato da più di 500 giorni in Iran dall’aprile 2022, è Johan Floderus. La sua incarcerazione è parte della diplomazia degli ostaggi, strategia non nuova al regime iraniano usata per estorcere concessioni all’Occidente ma che è diventata una delle armi negoziali per dissuadere l’UE dall’applicare sanzioni a personalità ed entità iraniane.

Sono circa quindici i cittadini europei detenuti arbitrariamente in Iran, e il dibattito su cosa fare si è già riacceso. Intanto, con ogni probabilità, il prossimo sabato riprenderanno vigore le proteste dei giovani che lottano contro il regime degli ayatollah: il 16 settembre è l’anniversario della morte di Mahsa Amini, la ventiduenne uccisa mentre era in arresto perché una ciocca di capelli usciva dal suo hijab.

Tuttavia le violazioni dello stato di diritto e dei diritti umani in questi ultimi mesi non si sono mai fermate: la polizia morale ha proseguito con azioni punitive e arresti contro le donne che non seguono pedissequamente il codice d’abbigliamento imposto; nelle carceri tortura ed esecuzioni sono la norma per coloro che manifestano contro il regime, riportano sui giornali le notizie della rivoluzione nonviolenta o anche solo condividono sui social oscurati le informazioni che arrivano alla stampa internazionale.

Le istituzioni occidentali hanno fatto ancora troppo poco per il popolo iraniano, perché la realtà è che questi ragazzi chiedono esattamente di vivere come noi, liberi. “Donna, vita, libertà!” è lo slogan delle proteste in Iran ed è il titolo della marcia convocata a Roma dal Partito Radicale e dalla Comunità iraniana per il prossimo 16 settembre.

Leda Colamartino - studentessa di Meritare l'Europa

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